Marco Solfanelli
lunedì 27 gennaio 2014
sabato 16 giugno 2012
Marco Solfanelli a Ortona (16 giugno 2012)
Marco Solfanelli nella sua prima "apparizione" in pubblico
dopo la nomina a Presidente dell'Associazione Editori Abruzzesi
alla Presentazione del romanzo di Antonio Tenisci
NUVOLE ROSSO SOTTO IL MARE
(Ortona, sabato 16 giugno 2012)
domenica 8 gennaio 2012
venerdì 28 ottobre 2011
giovedì 6 ottobre 2011
mercoledì 27 ottobre 2010
giovedì 26 agosto 2010
venerdì 2 luglio 2010
mercoledì 19 maggio 2010
venerdì 7 maggio 2010
mercoledì 17 marzo 2010
giovedì 31 dicembre 2009
Una pagina di narrativa: "Novantatré", di Victor Hugo
«Io sono il fratello di quello che avete fatto fucilare.»
Il vecchio rialzò lentamente il capo.
L'uomo che gli parlava era sulla trentina. Aveva la fronte abbronzata dal mare; gli occhi erano singolari, con lo sguardo sagace del marinaio nella pupilla credula del contadino. I pugni stringevano vigorosamente i remi. Aveva un'aria mite.
Alla cintola, gli si vedevano un pugnale, due pistole e un rosario.
«Chi sei?» chiese il vecchio.
«Ve l'ho appena detto.»
«Che cosa vuoi farmi?»
L'uomo lasciò i remi, incrociò le braccia e disse: «Uccidervi.»
«Come vuoi,» disse il vecchio.
L'uomo alzò la voce. «Preparatevi.»
«A che?»
«A morire.»
«Perché?» chiese il vecchio.
Ci fu un silenzio. Per un attimo, l'uomo parve come interdetto dalla domanda. Riprese: «Ho detto che voglio uccidervi.»
«E io ti ho chiesto perché.»
Un lampo guizzò negli occhi del marinaio. «Perché avete ucciso mio fratello.»
Il vecchio riprese calmo: «Ho cominciato col salvargli la vita.»
«Vero. Prima l'avete salvato, e poi ucciso.»
«Non sono io che l'ho ucciso.»
«E chi dunque?»
«La sua colpa.»
Il marinaio fissò a bocca aperta il vecchio, poi le sopracciglia tornarono ad aggrottarsi con aria feroce.
«Come ti chiami?»
«Mi chiamo Halmalo, ma non avete bisogno di sapere il mio nome per essere ucciso da me.»
In quella, il sole spuntò. Un raggio colpì il marinaio in pieno volto, illuminandone vivido il selvaggio sembiante. Il vecchio l'osservò con attenzione.
Il cannoneggiamento, che continuava sempre, adesso aveva interruzioni e sussulti agonici. Un'immensa cortina di fumo gravava sull'orizzonte. Il canotto, non più guidato dal rematore, andava alla deriva.
Con la mano destra il marinaio afferrò una delle pistole, con la sinistra il rosario.
Il vecchio si alzò in piedi. «Credi in Dio?»
«In Nostro Padre che sta nei cieli, sì!» rispose il marinaio. E si segnò.
«Tua madre è ancora viva?»
«Sì.» Si segnò un'altra volta. Quindi riprese: «E' deciso. Vi concedo un minuto, monsignore.» E armò il cane.
«Perché mi chiami monsignore?»
«Perché siete un signore. Lo si vede.»
«E tu, hai un signore, tu?»
«Sì, e grande anche. Si vive forse senza un signore?»
«Dove si trova?»
«Non so. Ha lasciato il paese. Si chiama monsignore il marchese il Lantenac, visconte di Fontenay, principe in Bretagna; è il signore delle Sette Foreste. Io non l'ho mai visto, ma questo non toglie che sia il mio padrone.»
«E se lo vedessi, gli obbediresti?»
«Certo. Altrimenti se non gli obbedissi, sarei un pagano! Si deve obbedienza a Dio, e poi al re che è come Dio, e poi al signore che è come il re. Ma questo non c'entra, voi avete ucciso mio fratello, e io devo uccidervi.»
Il vecchio rispose: «In primo luogo, se ho uccisio tuo fratello ho fatto bene.»
Il marinaio serrò il pugno attorno alla pistola. «Adesso basta,» disse.
«Come vuoi,» replicò il vecchio. E, tranquillo soggiunse: «Dov'è il prete?»
Il marinaio lo fissò. «Il prete?»
«Già, il prete. A tuo fratello io ho dato un prete, e tu mi devi un prete.»
«Non ne ho,» rispose il marinaio. E continuò: «Ci son forse preti in alto mare?»
Si udivano le detonazioni convulse della battaglia sempre più lontane.
«Quelli che muoiono laggiù, il loro ce l'hanno,» osservò il vecchio.
«E' vero,» mormorò il marinaio. «Hanno il signor cappellano.»
Il vecchio proseguì: «La cosa grave, è che tu perdi la mia anima.»
Il marinaio chinò il capo, pensieroso.
«E perdendo la mia anima,» riprese il vecchio, «perdi la tua. Ascolta. Io ho pietà di te. Fa' come preferisci. Quanto a me, ho appena compiuto il mio dovere, dapprima salvando la vita a tuo fratello e poi togliendogliela, e compio adesso il mio dovere cercando di salvare la tua anima. Rifletti. E' una faccenda che ti riguarda. Li senti i colpi di cannone proprio in questo momento? Laggiù vi sono uomini che periscono, disperati che agonizzano, mariti che non rivedranno più il figlio, fratelli che, al pari di te, non rivedranno più il fratello. E per colpa di chi? Per colpa di tuo fratello.
«Tu credi in Dio, nevvero? Ebbene, sappi che Dio soffre in questo momento; Dio soffre nel suo cristianissimo figlio, il re di Francia che è un bambino come il bambin Gesù e che è imprigionato nella torre del Tempio; Dio soffre nella sua chiesa di Bretagna; Dio soffre nelle sue cattedrali oltraggiate, nei suoi vangeli fatti a pezzi, nei suoi conventi violati; Dio soffre nei suoi preti assassinati.
«Che cosa venivamo a fare, noi, su quella nave che in questo momento perisce? Venivamo a soccorrere Dio. Se tuo fratello fosse stato un buon servitore, se avesse fedelmente adempiuto al suo compito di uomo assennato e utile, l'incidente della carronata non sarebbe accaduto, la corvetta non sarebbe andata alla deriva, non avrebbe perso la rotta, non si sarebbe imbattuta in quella flotta maledetta, e a quest'ora noi staremmo sbarcando in Francia, tutti, da quei valorosi uomini di guerra e di mare che siamo, a sciabola sguainata, vessillo bianco spiegato, tanti, felici, allegri, e andremmo in aiuto ai bravi contadini di Vandea per salvare la Francia, salvare il re, salvare Dio.
«Ecco quel che venivamo a fare, ecco quel che faremmo. Ecco quanto io, l'unico superstite, vengo a fare. Ma tu ti opponi. In questa lotta degli empi contro i sacerdoti, in questa lotta dei regicidi contro il re, in questa lotta di Satana contro Dio, tu opti per Satana. Tuo fratello era stato il primo aiutante del diavolo, tu sei il secondo. Lui ha cominciato, tu concludi. Tu sei per i regicidi contro il trono, tu sei per gli empi contro la Chiesa. Tu togli a Dio la sua ultima risorsa. Perché io, io che rappresento il re, non sarò là, i villaggi continueranno a bruciare, le famiglie a piangere, i sacerdoti a sanguinare, la Bretagna a soffrire, il re a stare in prigione, e Gesù Cristo a disperarsi. E a chi si dovrà tutto questo? A te. Forza, è affar tuo.
«Io facevo assegnamento su di te per il contrario. Mi sono sbagliato. Ah, già, è vero, hai ragione tu, io ho ucciso tuo fratello. Tuo fratello era stato coraggioso, e io l'ho ricompensato; era stato colpevole, e io l'ho punito. Aveva mancato al suo dovere, io non ho mancato al mio. Ciò che ho fatto, lo rifarei. E in un caso simile, lo giuro su sant'Anna di Auray che ci vede, come ho fatto fucilare tuo fratello farei fucilare mio figlio. Adesso, sei tu il padrone. Ma ti compiango. Hai mentito al tuo capitano.
«Tu, cristiano, sei un infedele; tu, bretone, sei senza onore; sono stato affidato alla tua lealtà, e sono stato accolto dal tuo tradimento; tu dai la mia morte a coloro ai quali hai promesso la mia vita. Sai chi è il perdente, qui? Sei tu. Tu sottrai la mia vita al re e consegni la tua eternità al demonio. Su, commetti il tuo delitto, sono pronto. Vendi a basso prezzo la tua parte di paradiso. Grazie a te il diavolo vincerà; grazie a te le chiese cadranno; grazie a te i pagani continueranno a fondere le campane per farne cannoni e mitraglieranno gli uomini con ciò che salvava le anime.
«Nel momento in cui ti parlo, può darsi che la campana che ha suonato per il tuo battesimo uccida tua madre. Su, aiuta il demonio. Non fermarti. Sì, ho condannato tuo fratello, ma sappi che io sono uno strumento di Dio. Ah, tu giudichi i mezzi di Dio! Oseresti dunque giudicare la folgore che è in cielo? Disgraziato, sarà essa a giudicarti. Attento a quel che stai per fare. Sai almeno se sono in stato di grazia? No. Ma non te ne importa. Fa' come vuoi. Sei libero di gettarmi all'inferno e di gettartici con me. Davanti a Dio, il responsabile sarai tu. Siamo soli, e uno di fronte all'altro nell'abisso. Continua, termina, concludi. Io sono vecchio e tu sei giovane; io sono privo di armi, e tu armato; uccidimi.»
Mentre il vecchio, in piedi, con voce che sovrastava il suono del mare, pronunciava queste parole, il dondolio delle onde lo faceva apparire ora in ombra, ora in luce; il marinaio era illividito; grosse gocce di sudore gli colavano dalla fronte; tremava come una foglia; a tratti baciava il rosario; come il vecchio ebbe finito, gettò la pistola e cadde in ginocchio.
«Grazia, monsignore! Perdonatemi,» gridò. «Voi parlate come il buon Dio. Ho torto. Mio fratello ha avuto torto. Farò qualsiasi cosa per riparare al suo delitto. Disponete di me. Comandate. Io obbedirò.»
«Ti faccio grazia,» disse il vecchio.
Il vecchio rialzò lentamente il capo.
L'uomo che gli parlava era sulla trentina. Aveva la fronte abbronzata dal mare; gli occhi erano singolari, con lo sguardo sagace del marinaio nella pupilla credula del contadino. I pugni stringevano vigorosamente i remi. Aveva un'aria mite.
Alla cintola, gli si vedevano un pugnale, due pistole e un rosario.
«Chi sei?» chiese il vecchio.
«Ve l'ho appena detto.»
«Che cosa vuoi farmi?»
L'uomo lasciò i remi, incrociò le braccia e disse: «Uccidervi.»
«Come vuoi,» disse il vecchio.
L'uomo alzò la voce. «Preparatevi.»
«A che?»
«A morire.»
«Perché?» chiese il vecchio.
Ci fu un silenzio. Per un attimo, l'uomo parve come interdetto dalla domanda. Riprese: «Ho detto che voglio uccidervi.»
«E io ti ho chiesto perché.»
Un lampo guizzò negli occhi del marinaio. «Perché avete ucciso mio fratello.»
Il vecchio riprese calmo: «Ho cominciato col salvargli la vita.»
«Vero. Prima l'avete salvato, e poi ucciso.»
«Non sono io che l'ho ucciso.»
«E chi dunque?»
«La sua colpa.»
Il marinaio fissò a bocca aperta il vecchio, poi le sopracciglia tornarono ad aggrottarsi con aria feroce.
«Come ti chiami?»
«Mi chiamo Halmalo, ma non avete bisogno di sapere il mio nome per essere ucciso da me.»
In quella, il sole spuntò. Un raggio colpì il marinaio in pieno volto, illuminandone vivido il selvaggio sembiante. Il vecchio l'osservò con attenzione.
Il cannoneggiamento, che continuava sempre, adesso aveva interruzioni e sussulti agonici. Un'immensa cortina di fumo gravava sull'orizzonte. Il canotto, non più guidato dal rematore, andava alla deriva.
Con la mano destra il marinaio afferrò una delle pistole, con la sinistra il rosario.
Il vecchio si alzò in piedi. «Credi in Dio?»
«In Nostro Padre che sta nei cieli, sì!» rispose il marinaio. E si segnò.
«Tua madre è ancora viva?»
«Sì.» Si segnò un'altra volta. Quindi riprese: «E' deciso. Vi concedo un minuto, monsignore.» E armò il cane.
«Perché mi chiami monsignore?»
«Perché siete un signore. Lo si vede.»
«E tu, hai un signore, tu?»
«Sì, e grande anche. Si vive forse senza un signore?»
«Dove si trova?»
«Non so. Ha lasciato il paese. Si chiama monsignore il marchese il Lantenac, visconte di Fontenay, principe in Bretagna; è il signore delle Sette Foreste. Io non l'ho mai visto, ma questo non toglie che sia il mio padrone.»
«E se lo vedessi, gli obbediresti?»
«Certo. Altrimenti se non gli obbedissi, sarei un pagano! Si deve obbedienza a Dio, e poi al re che è come Dio, e poi al signore che è come il re. Ma questo non c'entra, voi avete ucciso mio fratello, e io devo uccidervi.»
Il vecchio rispose: «In primo luogo, se ho uccisio tuo fratello ho fatto bene.»
Il marinaio serrò il pugno attorno alla pistola. «Adesso basta,» disse.
«Come vuoi,» replicò il vecchio. E, tranquillo soggiunse: «Dov'è il prete?»
Il marinaio lo fissò. «Il prete?»
«Già, il prete. A tuo fratello io ho dato un prete, e tu mi devi un prete.»
«Non ne ho,» rispose il marinaio. E continuò: «Ci son forse preti in alto mare?»
Si udivano le detonazioni convulse della battaglia sempre più lontane.
«Quelli che muoiono laggiù, il loro ce l'hanno,» osservò il vecchio.
«E' vero,» mormorò il marinaio. «Hanno il signor cappellano.»
Il vecchio proseguì: «La cosa grave, è che tu perdi la mia anima.»
Il marinaio chinò il capo, pensieroso.
«E perdendo la mia anima,» riprese il vecchio, «perdi la tua. Ascolta. Io ho pietà di te. Fa' come preferisci. Quanto a me, ho appena compiuto il mio dovere, dapprima salvando la vita a tuo fratello e poi togliendogliela, e compio adesso il mio dovere cercando di salvare la tua anima. Rifletti. E' una faccenda che ti riguarda. Li senti i colpi di cannone proprio in questo momento? Laggiù vi sono uomini che periscono, disperati che agonizzano, mariti che non rivedranno più il figlio, fratelli che, al pari di te, non rivedranno più il fratello. E per colpa di chi? Per colpa di tuo fratello.
«Tu credi in Dio, nevvero? Ebbene, sappi che Dio soffre in questo momento; Dio soffre nel suo cristianissimo figlio, il re di Francia che è un bambino come il bambin Gesù e che è imprigionato nella torre del Tempio; Dio soffre nella sua chiesa di Bretagna; Dio soffre nelle sue cattedrali oltraggiate, nei suoi vangeli fatti a pezzi, nei suoi conventi violati; Dio soffre nei suoi preti assassinati.
«Che cosa venivamo a fare, noi, su quella nave che in questo momento perisce? Venivamo a soccorrere Dio. Se tuo fratello fosse stato un buon servitore, se avesse fedelmente adempiuto al suo compito di uomo assennato e utile, l'incidente della carronata non sarebbe accaduto, la corvetta non sarebbe andata alla deriva, non avrebbe perso la rotta, non si sarebbe imbattuta in quella flotta maledetta, e a quest'ora noi staremmo sbarcando in Francia, tutti, da quei valorosi uomini di guerra e di mare che siamo, a sciabola sguainata, vessillo bianco spiegato, tanti, felici, allegri, e andremmo in aiuto ai bravi contadini di Vandea per salvare la Francia, salvare il re, salvare Dio.
«Ecco quel che venivamo a fare, ecco quel che faremmo. Ecco quanto io, l'unico superstite, vengo a fare. Ma tu ti opponi. In questa lotta degli empi contro i sacerdoti, in questa lotta dei regicidi contro il re, in questa lotta di Satana contro Dio, tu opti per Satana. Tuo fratello era stato il primo aiutante del diavolo, tu sei il secondo. Lui ha cominciato, tu concludi. Tu sei per i regicidi contro il trono, tu sei per gli empi contro la Chiesa. Tu togli a Dio la sua ultima risorsa. Perché io, io che rappresento il re, non sarò là, i villaggi continueranno a bruciare, le famiglie a piangere, i sacerdoti a sanguinare, la Bretagna a soffrire, il re a stare in prigione, e Gesù Cristo a disperarsi. E a chi si dovrà tutto questo? A te. Forza, è affar tuo.
«Io facevo assegnamento su di te per il contrario. Mi sono sbagliato. Ah, già, è vero, hai ragione tu, io ho ucciso tuo fratello. Tuo fratello era stato coraggioso, e io l'ho ricompensato; era stato colpevole, e io l'ho punito. Aveva mancato al suo dovere, io non ho mancato al mio. Ciò che ho fatto, lo rifarei. E in un caso simile, lo giuro su sant'Anna di Auray che ci vede, come ho fatto fucilare tuo fratello farei fucilare mio figlio. Adesso, sei tu il padrone. Ma ti compiango. Hai mentito al tuo capitano.
«Tu, cristiano, sei un infedele; tu, bretone, sei senza onore; sono stato affidato alla tua lealtà, e sono stato accolto dal tuo tradimento; tu dai la mia morte a coloro ai quali hai promesso la mia vita. Sai chi è il perdente, qui? Sei tu. Tu sottrai la mia vita al re e consegni la tua eternità al demonio. Su, commetti il tuo delitto, sono pronto. Vendi a basso prezzo la tua parte di paradiso. Grazie a te il diavolo vincerà; grazie a te le chiese cadranno; grazie a te i pagani continueranno a fondere le campane per farne cannoni e mitraglieranno gli uomini con ciò che salvava le anime.
«Nel momento in cui ti parlo, può darsi che la campana che ha suonato per il tuo battesimo uccida tua madre. Su, aiuta il demonio. Non fermarti. Sì, ho condannato tuo fratello, ma sappi che io sono uno strumento di Dio. Ah, tu giudichi i mezzi di Dio! Oseresti dunque giudicare la folgore che è in cielo? Disgraziato, sarà essa a giudicarti. Attento a quel che stai per fare. Sai almeno se sono in stato di grazia? No. Ma non te ne importa. Fa' come vuoi. Sei libero di gettarmi all'inferno e di gettartici con me. Davanti a Dio, il responsabile sarai tu. Siamo soli, e uno di fronte all'altro nell'abisso. Continua, termina, concludi. Io sono vecchio e tu sei giovane; io sono privo di armi, e tu armato; uccidimi.»
Mentre il vecchio, in piedi, con voce che sovrastava il suono del mare, pronunciava queste parole, il dondolio delle onde lo faceva apparire ora in ombra, ora in luce; il marinaio era illividito; grosse gocce di sudore gli colavano dalla fronte; tremava come una foglia; a tratti baciava il rosario; come il vecchio ebbe finito, gettò la pistola e cadde in ginocchio.
«Grazia, monsignore! Perdonatemi,» gridò. «Voi parlate come il buon Dio. Ho torto. Mio fratello ha avuto torto. Farò qualsiasi cosa per riparare al suo delitto. Disponete di me. Comandate. Io obbedirò.»
«Ti faccio grazia,» disse il vecchio.
mercoledì 4 novembre 2009
Una canzone: "Budapest", di Leo Valeriano
Sto sul monte e guardo giù,
dove sorge una città
sulle torri delle chiese
strilla forte il gallo rosso
rosso il cielo delle fiamme
rosse le strade di sangue
rossi sono i carri armati,
sta bruciando Budapest.
Oh Budapest!
soli abbiamo perduto
erano in tanti a parlare
quando non costava niente
e adesso chi c’è a morire con noi!!!
Tu borghese d’occidente
tu che hai moglie, figli e amante
le tue case sono calde
e non ti va di rischiare per Budapest.
Tu borghese d’occidente
hai raccolto sacchi d’oro
nati dal sangue magiaro
e poi ci hai incatenati al gigante dell’Est
Oh Budapest!
soli abbiamo perduto
erano in tanti a parlare
quando non costava niente
e adesso chi c’è a morire con noi!!!
Qui sul monte sto guardando
la fine di un’illusione
nata lungo il nostro fiume
e che muore assassinata con Budapest.
Oh Budapest!
soli abbiamo perduto
erano in tanti a parlare
quando non costava niente
e adesso chi c’è a morire con noi!!!
dove sorge una città
sulle torri delle chiese
strilla forte il gallo rosso
rosso il cielo delle fiamme
rosse le strade di sangue
rossi sono i carri armati,
sta bruciando Budapest.
Oh Budapest!
soli abbiamo perduto
erano in tanti a parlare
quando non costava niente
e adesso chi c’è a morire con noi!!!
Tu borghese d’occidente
tu che hai moglie, figli e amante
le tue case sono calde
e non ti va di rischiare per Budapest.
Tu borghese d’occidente
hai raccolto sacchi d’oro
nati dal sangue magiaro
e poi ci hai incatenati al gigante dell’Est
Oh Budapest!
soli abbiamo perduto
erano in tanti a parlare
quando non costava niente
e adesso chi c’è a morire con noi!!!
Qui sul monte sto guardando
la fine di un’illusione
nata lungo il nostro fiume
e che muore assassinata con Budapest.
Oh Budapest!
soli abbiamo perduto
erano in tanti a parlare
quando non costava niente
e adesso chi c’è a morire con noi!!!
giovedì 17 settembre 2009
Una canzone: "Ribelli di Vandea"
Ride la piazza ed urla
al sangue che colora
il collo dei soldati
fedeli alla Corona,
che sopra i ceppi han’ baciato
i gigli dell’onore,
che col sorriso han’ gettato
di sfida un guanto ancor.
Siam del Re,
ladri e cavalieri,
nella notte noi andiam
il vento freddo del terrore
non ci potrà fermar.
La fede che noi
serviam con onor
dentro ai nostri cuor risplende
come un bel simbolo d’Amore
che al tron ci legò.
Spade di Vandea,
falci della boscaglia,
baroni e contadini,
ci aspetta la battaglia,
per giustiziar chi tagliò il giglio
là sulle ghigliottine,
per riabbracciar il sole di Francia
sulle nostre colline.
Siam del Re,
ladri e cavalieri,
nella notte noi andiam
il vento freddo del terrore
non ci potrà fermar.
Se un rosso fior
nasce in petto a noi,
è sangue di chi crede ancor,
di chi combatte i vincitor,
di uomini d’onor.
Nei cieli devastati
da giudici plebei,
dall’odio dei tribuni,
dal pianto degli dèi,
sbocciano i fior che i cavalieri
portano su i mantelli
son bianchi gigli che han’ profumato
il canto dei ribelli.
Siam del Re,
ladri e cavalieri,
nella notte noi andiam
il vento freddo del terrore
non ci potrà fermar.
al sangue che colora
il collo dei soldati
fedeli alla Corona,
che sopra i ceppi han’ baciato
i gigli dell’onore,
che col sorriso han’ gettato
di sfida un guanto ancor.
Siam del Re,
ladri e cavalieri,
nella notte noi andiam
il vento freddo del terrore
non ci potrà fermar.
La fede che noi
serviam con onor
dentro ai nostri cuor risplende
come un bel simbolo d’Amore
che al tron ci legò.
Spade di Vandea,
falci della boscaglia,
baroni e contadini,
ci aspetta la battaglia,
per giustiziar chi tagliò il giglio
là sulle ghigliottine,
per riabbracciar il sole di Francia
sulle nostre colline.
Siam del Re,
ladri e cavalieri,
nella notte noi andiam
il vento freddo del terrore
non ci potrà fermar.
Se un rosso fior
nasce in petto a noi,
è sangue di chi crede ancor,
di chi combatte i vincitor,
di uomini d’onor.
Nei cieli devastati
da giudici plebei,
dall’odio dei tribuni,
dal pianto degli dèi,
sbocciano i fior che i cavalieri
portano su i mantelli
son bianchi gigli che han’ profumato
il canto dei ribelli.
Siam del Re,
ladri e cavalieri,
nella notte noi andiam
il vento freddo del terrore
non ci potrà fermar.
martedì 15 settembre 2009
Una pagina di teatro: "Coriolano", di William Shakespeare
Menenio
Salve, nobile Marzio.
Marzio
Grazie. Che c'è, cani ringhiosi, che a forza di grattarvi i pizzicori ideologici, vi siete fatti tutta una rogna?
I° Cittadino
Sempre una buona parola, voi.
Marzio
Chi avrà buone parole per voialtri sarà un adulatore peggio che ripugnante. Che cosa pretendereste, razza di cani, inadatti alla pace come alla guerra, ché l'una vi atterrisce l'altra vi ringalluzzisce? Chi confidasse in voi, troverebbe poi lepri dove s'aspetta leoni e dove volpi, oche. Non siete più sicuri, no, di un carbone acceso sul ghiaccio, né di un ghiacciolo al sole. Tutto quel che sapete fare, è di esaltare chi è carico di colpe e di odiare il giudice che lo condanna. Chi conquista un grado si acquista l'odio vostro; i vostri affetti sono l'appetito del malato, che più desidera quello che più gli nuoce. Affidarsi al vostro favore è come nuotar con pinne di piombo o abbattere una quercia con un giunco. In galera! Aver fiducia in voi, che mutate parere di punto in bianco, e conclamate nobile quello che v'era in odio un attimo prima e vile quello che or ora acclamavate degno di corona! Che avete adesso da schiamazzare in questa o in quella piazza della città contro l'autorità del Senato il quale, dopo gli dèi, è il solo a tenervi in timore, e così a trattenervi dal divorarvi l'un con l'altro? (Ad Agrippa) Che vanno cercando?
Menenio
Grano a buon prezzo, ché — dicono loro — la città ne ha a bizzeffe.
Marzio
In galera. «Dicono loro?» — Sempre acchiocciati davanti al fuoco, stanno; e poi pretendono di sapere che cosa si fa su, in Campidoglio: e chi sorge e chi è in auge e chi declina; combinano fazioni e matrimoni, a vanvera; esaltano i partiti, e quello che non è di lor gusto se lo mettono sotto la suola delle loro scarpe rabberciate. Dicono che del grano ce n'è a bizzeffe. Ah se i patrizi si scordassero un po' della misericordia e mi lasciassero usar della mia spada, a migliaia vorrei squartarmeli questi schiavi e farne un mucchio alto fin dove arriva la mia lancia scagliata in aria.
Salve, nobile Marzio.
Marzio
Grazie. Che c'è, cani ringhiosi, che a forza di grattarvi i pizzicori ideologici, vi siete fatti tutta una rogna?
I° Cittadino
Sempre una buona parola, voi.
Marzio
Chi avrà buone parole per voialtri sarà un adulatore peggio che ripugnante. Che cosa pretendereste, razza di cani, inadatti alla pace come alla guerra, ché l'una vi atterrisce l'altra vi ringalluzzisce? Chi confidasse in voi, troverebbe poi lepri dove s'aspetta leoni e dove volpi, oche. Non siete più sicuri, no, di un carbone acceso sul ghiaccio, né di un ghiacciolo al sole. Tutto quel che sapete fare, è di esaltare chi è carico di colpe e di odiare il giudice che lo condanna. Chi conquista un grado si acquista l'odio vostro; i vostri affetti sono l'appetito del malato, che più desidera quello che più gli nuoce. Affidarsi al vostro favore è come nuotar con pinne di piombo o abbattere una quercia con un giunco. In galera! Aver fiducia in voi, che mutate parere di punto in bianco, e conclamate nobile quello che v'era in odio un attimo prima e vile quello che or ora acclamavate degno di corona! Che avete adesso da schiamazzare in questa o in quella piazza della città contro l'autorità del Senato il quale, dopo gli dèi, è il solo a tenervi in timore, e così a trattenervi dal divorarvi l'un con l'altro? (Ad Agrippa) Che vanno cercando?
Menenio
Grano a buon prezzo, ché — dicono loro — la città ne ha a bizzeffe.
Marzio
In galera. «Dicono loro?» — Sempre acchiocciati davanti al fuoco, stanno; e poi pretendono di sapere che cosa si fa su, in Campidoglio: e chi sorge e chi è in auge e chi declina; combinano fazioni e matrimoni, a vanvera; esaltano i partiti, e quello che non è di lor gusto se lo mettono sotto la suola delle loro scarpe rabberciate. Dicono che del grano ce n'è a bizzeffe. Ah se i patrizi si scordassero un po' della misericordia e mi lasciassero usar della mia spada, a migliaia vorrei squartarmeli questi schiavi e farne un mucchio alto fin dove arriva la mia lancia scagliata in aria.
lunedì 6 luglio 2009
Una canzone: "Fortuna Imperatrix Mundi"
I
O Fortuna,
Velut luna
statu variabilis,
semper crescis
aut decrescis;
vita detestabilis
nunc odurat
et tunc curat
ludo mentis aciem,
egestatem,
potestatem
dissolvit ut glaciem.
Sors immanis
et inanis,
rota tu volubilis,
status malus,
vana salus
semper dissolubilis,
obumbrata
et velata
michi quoque niteris;
nunc per ludum
dorsum nudum
fero tui sceleris.
Sors salutis
et virtutis
michi nunc contraria,
est affectus
et defectus
semper in angaria.
Hac in hora
sine mora
corde pulsum tangite;
quod per sortem
sternit fortem,
mecun omnes plangite!
II
Fortune plango vulnera
stillantibus ocellis,
quod sua michi munera
subtrahit rebellis.
verum est, quod legitur,
fronte capillata,
sed plerumque sequitur
Occasio calvata
In Fortune solio
sederam elatus,
prosperitatis vario
flore coronatus;
quicquid tamen florui
felix et beatus,
nunc a summo corrui
gloria privatus.
Fortune rota volvitur:
descendo minoratus;
alter in altum tollitur;
nimis exaltatus
rex sedet in vertice -
caveat ruinam!
nam sub axe legimus
Hecubam reginam.
Carmina Burana, musicato da Carl Orff
O Fortuna,
Velut luna
statu variabilis,
semper crescis
aut decrescis;
vita detestabilis
nunc odurat
et tunc curat
ludo mentis aciem,
egestatem,
potestatem
dissolvit ut glaciem.
Sors immanis
et inanis,
rota tu volubilis,
status malus,
vana salus
semper dissolubilis,
obumbrata
et velata
michi quoque niteris;
nunc per ludum
dorsum nudum
fero tui sceleris.
Sors salutis
et virtutis
michi nunc contraria,
est affectus
et defectus
semper in angaria.
Hac in hora
sine mora
corde pulsum tangite;
quod per sortem
sternit fortem,
mecun omnes plangite!
II
Fortune plango vulnera
stillantibus ocellis,
quod sua michi munera
subtrahit rebellis.
verum est, quod legitur,
fronte capillata,
sed plerumque sequitur
Occasio calvata
In Fortune solio
sederam elatus,
prosperitatis vario
flore coronatus;
quicquid tamen florui
felix et beatus,
nunc a summo corrui
gloria privatus.
Fortune rota volvitur:
descendo minoratus;
alter in altum tollitur;
nimis exaltatus
rex sedet in vertice -
caveat ruinam!
nam sub axe legimus
Hecubam reginam.
Carmina Burana, musicato da Carl Orff
domenica 28 giugno 2009
Una canzone: "Papa don't preach", di Madonna
Papà so che ti arrabbierai
perché io sono sempre stata la tua bambina
ma dovresti sapere ormai
che non sono così piccola
mi hai sempre insegnato la differenza tra giusto e sbagliato
ho bisogno del tuo aiuto, papi per favore sii forte
posso essere giovane di spirito
ma so quello che sto dicendo
il tipo su cui mi hai messo in guardia per tutto
quello che tu dicevi che potevo farne senza
siamo in un gran casino, e
non voglio dire forse — ti prego
papà non farmi la predica, sono in un mare di guai
papà non farmi la predica, ho perso il sonno
ma mi sono decisa, terrò il mio bambino, oh
terrò il mio bambino, mmm...
Lui dice che mi sposerà e potremo allevare una piccola famiglia
forse staremo bene, è un sacrificio
ma i miei amici continuano a dirmi di lasciar perdere
dicendo che sono troppo giovane, dovrei godermi la vita
quello di cui ho bisogno ora è un buon consiglio, per favore
papà non farmi la predica, sono in un mare di guai
papà non farmi la predica, ho perso il sonno
ma mi sono decisa, terrò il mio bambino, oh
terrò il mio bambino, mmm...
Papi, papi se potessi solo vedere
come lui mi ha trattata bene
ci daresti la tua benedizione subito
perché siamo innamorati, siamo innamorati, perciò ti prego
papà non farmi la predica, sono in un mare di guai
papà non farmi la predica, ho perso il sonno
ma mi sono decisa, terrò il mio bambino, oh
terrò il mio bambino, mmm...
Papà non farmi la predica, sono in un mare di guai
papà non farmi la predica, ho perso il sonno
papà non farmi la predica, sono in un mare di guai
papà non farmi la predica, ho perso il sonno
oh, terrò il mio bambino, ooh
non smettere di amarmi papi
lo so, terrò il mio bambino.
perché io sono sempre stata la tua bambina
ma dovresti sapere ormai
che non sono così piccola
mi hai sempre insegnato la differenza tra giusto e sbagliato
ho bisogno del tuo aiuto, papi per favore sii forte
posso essere giovane di spirito
ma so quello che sto dicendo
il tipo su cui mi hai messo in guardia per tutto
quello che tu dicevi che potevo farne senza
siamo in un gran casino, e
non voglio dire forse — ti prego
papà non farmi la predica, sono in un mare di guai
papà non farmi la predica, ho perso il sonno
ma mi sono decisa, terrò il mio bambino, oh
terrò il mio bambino, mmm...
Lui dice che mi sposerà e potremo allevare una piccola famiglia
forse staremo bene, è un sacrificio
ma i miei amici continuano a dirmi di lasciar perdere
dicendo che sono troppo giovane, dovrei godermi la vita
quello di cui ho bisogno ora è un buon consiglio, per favore
papà non farmi la predica, sono in un mare di guai
papà non farmi la predica, ho perso il sonno
ma mi sono decisa, terrò il mio bambino, oh
terrò il mio bambino, mmm...
Papi, papi se potessi solo vedere
come lui mi ha trattata bene
ci daresti la tua benedizione subito
perché siamo innamorati, siamo innamorati, perciò ti prego
papà non farmi la predica, sono in un mare di guai
papà non farmi la predica, ho perso il sonno
ma mi sono decisa, terrò il mio bambino, oh
terrò il mio bambino, mmm...
Papà non farmi la predica, sono in un mare di guai
papà non farmi la predica, ho perso il sonno
papà non farmi la predica, sono in un mare di guai
papà non farmi la predica, ho perso il sonno
oh, terrò il mio bambino, ooh
non smettere di amarmi papi
lo so, terrò il mio bambino.
venerdì 26 giugno 2009
Un apagina di poesia: "Sestina: Altaforte", di Ezra Pound
Loquitur En Bertrans de Born.
Dante Alighieri mise quest'uomo nell'Inferno perché era un seminatore di discordia.
Eccovi! Giudicate! Scavando, l'ho tratto fuori nuovamente?
La scena è al suo castello, Altaforte. "Papiols" è il suo giullare.
"Il Leopardo", la divisa di Riccardo Cuor di Leone.
I
All'inferno! la pace appesta tutto il nostro Sud.
Tu, cane bastardo, Papiols, vieni! Diamoci alla musica!
Io non ho vita tranne quando cozzano le spade.
Ma quando vedo stendardi d'oro, di vaio, violacei, opporsi
E i vasti campi sotto loro farsi vermigli,
Allora urla il mio cuore quasi pazzo di gioia.
II
Nell'ardore dell'estate provo immensa gioia
Quando le tempeste sulla terra ne uccidono la sporca pace,
E i fulmini dal cielo nero sfolgorano vermigli,
E i tuoni furiosamente ruggiscono a me la loro musica
E i venti ululano tra le pazze nuvole, nell'opporsi,
E per tutto il cielo lacerato le spade di Dio cozzano.
III
Conceda l'inferno di sentire presto il cozzo delle spade!
E i nitriti acuti dei destrieri che gioiscono nella battaglia,
Petto chiodato opporsi a petto chiodato!
Meglio un'ora di battaglia che un anno di pace
Con tavole opime, lazzi osceni, vino e lieve musica!
Bah! non c'è vino che eguagli il vermiglio del sangue!
IV
E io amo vedere il sole levarsi rosso-sangue.
E guardo le sue lance per il buio cozzare di armi
E mi riempie il cuore di gioia
E mi spalanca la bocca con una forte musica
Quando lo vedo così sdegnare e sfidare la pace,
La sua forza solitaria alle grandi tenebre opporsi.
V
L'uomo che teme la guerra e s'accascia opponendosi
Alle mie parole per la battaglia, non ha sangue vermiglio,
Adatto solo a marcire nella femminea pace
Lungi da dove il valore ha vinto e le spade cozzano
Per la morte di tali baldracche io gioisco;
Sì, riempio tutta l'aria della mia musica.
VI
Papiols, Papiols, alla musica!
Non c'è suono che uguagli l'opporsi di spade a spade,
Né grido simile all'urlo di gioia in battaglia
Quando gomiti e spade stillano sangue vermiglio
E le nostre cariche cozzano contro l'assato del "Leopardo".
Maledica per sempre Iddio quelli che gridano "Pace"!
VII
E che la musica delle spade vermigli li renda!
L'inferno conceda presto che di nuovo s'odi il cozzar delle spade!
L'inferno cancelli in nero per sempre il pensiero "Pace"!
Dante Alighieri mise quest'uomo nell'Inferno perché era un seminatore di discordia.
Eccovi! Giudicate! Scavando, l'ho tratto fuori nuovamente?
La scena è al suo castello, Altaforte. "Papiols" è il suo giullare.
"Il Leopardo", la divisa di Riccardo Cuor di Leone.
I
All'inferno! la pace appesta tutto il nostro Sud.
Tu, cane bastardo, Papiols, vieni! Diamoci alla musica!
Io non ho vita tranne quando cozzano le spade.
Ma quando vedo stendardi d'oro, di vaio, violacei, opporsi
E i vasti campi sotto loro farsi vermigli,
Allora urla il mio cuore quasi pazzo di gioia.
II
Nell'ardore dell'estate provo immensa gioia
Quando le tempeste sulla terra ne uccidono la sporca pace,
E i fulmini dal cielo nero sfolgorano vermigli,
E i tuoni furiosamente ruggiscono a me la loro musica
E i venti ululano tra le pazze nuvole, nell'opporsi,
E per tutto il cielo lacerato le spade di Dio cozzano.
III
Conceda l'inferno di sentire presto il cozzo delle spade!
E i nitriti acuti dei destrieri che gioiscono nella battaglia,
Petto chiodato opporsi a petto chiodato!
Meglio un'ora di battaglia che un anno di pace
Con tavole opime, lazzi osceni, vino e lieve musica!
Bah! non c'è vino che eguagli il vermiglio del sangue!
IV
E io amo vedere il sole levarsi rosso-sangue.
E guardo le sue lance per il buio cozzare di armi
E mi riempie il cuore di gioia
E mi spalanca la bocca con una forte musica
Quando lo vedo così sdegnare e sfidare la pace,
La sua forza solitaria alle grandi tenebre opporsi.
V
L'uomo che teme la guerra e s'accascia opponendosi
Alle mie parole per la battaglia, non ha sangue vermiglio,
Adatto solo a marcire nella femminea pace
Lungi da dove il valore ha vinto e le spade cozzano
Per la morte di tali baldracche io gioisco;
Sì, riempio tutta l'aria della mia musica.
VI
Papiols, Papiols, alla musica!
Non c'è suono che uguagli l'opporsi di spade a spade,
Né grido simile all'urlo di gioia in battaglia
Quando gomiti e spade stillano sangue vermiglio
E le nostre cariche cozzano contro l'assato del "Leopardo".
Maledica per sempre Iddio quelli che gridano "Pace"!
VII
E che la musica delle spade vermigli li renda!
L'inferno conceda presto che di nuovo s'odi il cozzar delle spade!
L'inferno cancelli in nero per sempre il pensiero "Pace"!
venerdì 29 maggio 2009
Marco Solfanelli e Franco Barnabè
giovedì 7 maggio 2009
Una pagina di teatro: "Il mercante di Venezia", di William Shakespeare
Salarino
Che voi sappiate, Antonio ha avuto perdite in mare?
Shylock
Anche questo è un cattivo affare. E' un fallito, un prodigo, che osa appena mostrare il suo muso a Rialto; un accattone che quando veniva in mercato si metteva sempre in ghingheri; ditegli che badi al suo contratto; aveva l'abitudine di chiamarmi usuraio; ditegli che badi al suo contratto; aveva l'abitudine di prestar gratis il danaro per cristiano amor del prossimo; ditegli che badi al suo contratto.
Salarino
Sono certo che alla scadenza tu non pretenderesti la sua carne; a che ti servirebbe?
Shylock
A farci l'esca pei pesci; e se non ci potrò nutrire niente altro ci nutrirò la mia vendetta. M'ha rovinato e poi m'ha impedito di guadagnare mezzo milione; ha riso delle mie perdite, m'ha canzonato pei miei guadagni, ha schernito la mia nazione, s'è messo di traverso nei miei affari, ha gelato i miei amici, ha riscaldato i miei nemici. E tutto questo perché? Perché sono un ebreo. Un ebreo non ha occhi? un ebreo non ha mani, membra, sensi, affetti, passioni? non si nutre dello stesso cibo, non è ferito dalle stesse armi, non va soggetto alle stesse malattie, non si guarsice cogli stessi mezzi, non ha il freddo dello stesso inverno e il caldo della stessa estate d'un cristiano? se ci pungete, non sanguiniamo? se ci fate il solletico, non ridiamo? se ci avvelenate, non moriamo? e se ci offendete, non dobbiamo vendicarci? se siamo uguali a voi in tutto, anche in questo dobbiamo somigliarvi. Se un ebreo offende un cristiano, dove arriva la tolleranza del cristiano? alla vendetta. Se un cristiano offende un ebreo, dove dovrebbe giungere la sopportazione dell'ebreo, secondo l'esempio cristiano? alla vendetta. Mi insegnate a essere malvagio: obbedisco, ma mi sarà difficile non superare i mestri.
Che voi sappiate, Antonio ha avuto perdite in mare?
Shylock
Anche questo è un cattivo affare. E' un fallito, un prodigo, che osa appena mostrare il suo muso a Rialto; un accattone che quando veniva in mercato si metteva sempre in ghingheri; ditegli che badi al suo contratto; aveva l'abitudine di chiamarmi usuraio; ditegli che badi al suo contratto; aveva l'abitudine di prestar gratis il danaro per cristiano amor del prossimo; ditegli che badi al suo contratto.
Salarino
Sono certo che alla scadenza tu non pretenderesti la sua carne; a che ti servirebbe?
Shylock
A farci l'esca pei pesci; e se non ci potrò nutrire niente altro ci nutrirò la mia vendetta. M'ha rovinato e poi m'ha impedito di guadagnare mezzo milione; ha riso delle mie perdite, m'ha canzonato pei miei guadagni, ha schernito la mia nazione, s'è messo di traverso nei miei affari, ha gelato i miei amici, ha riscaldato i miei nemici. E tutto questo perché? Perché sono un ebreo. Un ebreo non ha occhi? un ebreo non ha mani, membra, sensi, affetti, passioni? non si nutre dello stesso cibo, non è ferito dalle stesse armi, non va soggetto alle stesse malattie, non si guarsice cogli stessi mezzi, non ha il freddo dello stesso inverno e il caldo della stessa estate d'un cristiano? se ci pungete, non sanguiniamo? se ci fate il solletico, non ridiamo? se ci avvelenate, non moriamo? e se ci offendete, non dobbiamo vendicarci? se siamo uguali a voi in tutto, anche in questo dobbiamo somigliarvi. Se un ebreo offende un cristiano, dove arriva la tolleranza del cristiano? alla vendetta. Se un cristiano offende un ebreo, dove dovrebbe giungere la sopportazione dell'ebreo, secondo l'esempio cristiano? alla vendetta. Mi insegnate a essere malvagio: obbedisco, ma mi sarà difficile non superare i mestri.
martedì 5 maggio 2009
lunedì 4 maggio 2009
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domenica 3 maggio 2009
sabato 2 maggio 2009
martedì 21 aprile 2009
Una pagina di poesia: "Ité", di Ezra Pound
Mie canzoni, andate a cercar lode tra i giovani e gli insofferenti,
Frequentate solamente gli amanti della perfezione.
Guardate di starvene sempre nella dura luce sofoclea
E sopportatene le ferite con animo lieto.
Frequentate solamente gli amanti della perfezione.
Guardate di starvene sempre nella dura luce sofoclea
E sopportatene le ferite con animo lieto.
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