Risalirò col suo peso
sul petto
come una carpa il fiume
mi spalmerò
sulla faccia rossetto
per farlo ridere
per lui poi comprerò
sacchetti di pop-corn
potrà spargerli
in macchina
per lui non fumerò
a quattro zampe andrò
e lo aiuterò a crescere
lui vive in te
si muove in te
con mani cucciole
è in te
respira in te
gioca e non sa
che tu vuoi buttarlo via
Gli taglierò
una pistola di legno
gli insegnerò a parlare
la sera poi con noi due
farà il bagno
e vi insaponerò.
Per lui mi cambierò
la notte ci sarò
perché non resti solo mai
per lui lavorerò,
la moto venderò
e lo proteggerò, aiutami.
Lui vive in te
Lui ride in te
o sta provandoci
è in te, si scalda in te
dorme o chissà,
lui sta già ascoltandoci.
Lui si accuccerà
dai tuoi seni berrà
con i pugni vicini
tra noi dormirà
e un pò scalcerà
saremo i cuscini noi due.
Con gli occhi chiusi lui
la vita afferra già
il figlio che non vuoi
è già con noi.
Lui vive in te si culla in te
con i tuoi battiti
è in te
lui nuota in te
gioca chissà...
è lui il figlio
che non vuoi
sabato 28 febbraio 2009
lunedì 23 febbraio 2009
Una canzone: "La carmagnola"
A lu suono de grancascia
viva lu popolo bascio.
A lu suono de tamburielli
sò risorte li puverielli.
A lu suone de campane
viva viva li pupulane.
A lu suono de viuline
morte alli giacubbine.
Sona sona sona carmagnola
sona li cunsiglia viva o rrè cu la famiglia.
A santeremo tanta forte
l’hanno fatto comm’a ricotta
A stu cornuto sbrevognato
l’hanno miss’ ‘a mitria n’capa.
Maistà chi t’ha traduto
chi stù stommaco ha avuto
e signore e cavaliere
te vulevano prigiuniere.
Sona sona sona carmagnola
sona li cunsiglia viva o rrè cu la famiglia.
Alli tredece de giugno
sant’Antonio glurioso
e signure sti birbante
e facettero o mazze tante.
Sò venute li francise
aute tasse nci hanno mise.
Libertè... Egalitè
tu arrobbe ammé io arrobbe attè.
Sona sona sona carmagnola
sona li cunsiglia viva o rrè cu la famiglia.
Li franciese sò arrivate
ci hanno bbuono carusate.
E vuolà e vuolà
cavece n’culo alla libbertà.
E’ fernuta l’uguaglianza
è fernuta la libbertà
pe’ vuie sò dulure e panza
signò jateve a cuccà.
Sona sona sona carmagnola
sona li cunsiglia viva o rrè cu la famiglia.
Passaie lu mese chivuso
le ventuso e l’addiruso
a lu mese ca se mete
hanno avuto l’aglio arrete.
Viva tata maccarone
ca rispetta la religione
Giacubbine iate a mare
ch’abbrucia lu panare.
Sona sona sona carmagnola
sona li cunsiglia viva o rrè cu la famiglia.
viva lu popolo bascio.
A lu suono de tamburielli
sò risorte li puverielli.
A lu suone de campane
viva viva li pupulane.
A lu suono de viuline
morte alli giacubbine.
Sona sona sona carmagnola
sona li cunsiglia viva o rrè cu la famiglia.
A santeremo tanta forte
l’hanno fatto comm’a ricotta
A stu cornuto sbrevognato
l’hanno miss’ ‘a mitria n’capa.
Maistà chi t’ha traduto
chi stù stommaco ha avuto
e signore e cavaliere
te vulevano prigiuniere.
Sona sona sona carmagnola
sona li cunsiglia viva o rrè cu la famiglia.
Alli tredece de giugno
sant’Antonio glurioso
e signure sti birbante
e facettero o mazze tante.
Sò venute li francise
aute tasse nci hanno mise.
Libertè... Egalitè
tu arrobbe ammé io arrobbe attè.
Sona sona sona carmagnola
sona li cunsiglia viva o rrè cu la famiglia.
Li franciese sò arrivate
ci hanno bbuono carusate.
E vuolà e vuolà
cavece n’culo alla libbertà.
E’ fernuta l’uguaglianza
è fernuta la libbertà
pe’ vuie sò dulure e panza
signò jateve a cuccà.
Sona sona sona carmagnola
sona li cunsiglia viva o rrè cu la famiglia.
Passaie lu mese chivuso
le ventuso e l’addiruso
a lu mese ca se mete
hanno avuto l’aglio arrete.
Viva tata maccarone
ca rispetta la religione
Giacubbine iate a mare
ch’abbrucia lu panare.
Sona sona sona carmagnola
sona li cunsiglia viva o rrè cu la famiglia.
mercoledì 11 febbraio 2009
Una pagina di teatro: "La congiura del Fiesco", di Federico Schiller
Fiesco
Genovesi, un giorno scoppiò la guerra civile nel regno degli animali, i partiti si combattevano fra loro, finché un cane da macellaio s'impadronì del trono, e, abituato a cacciar le bestie al macello, governava in modo bestiale, abbaiava, mordeva e spolpava il popolo fino all'osso. Il paese mormorava, finché un giorno i più audaci si unirono e scannarono il regale mastino. Si tenne quindi seduta per decidere qual tipo di governo fosse il migliore. Si formarono allora tre diverse correnti. Genovesi, quale forma di governo avreste scelto voi?
Primo Cittadino
Il governo del popolo! Tutti per il popolo!
Fiesco
E infatti vinse il popolo, e vi fu un governo democratico. Ogni cittadino diede il proprio voto e vinse la maggioranza. Non passarono che poche settimane, ed ecco che l'uomo dichiara la guerra a quel libero stato creato così di recente e lo stato si riunì in assemblea. Il cavallo, il leone, la tigre, l'orso, l'elefante e il rinoceronte si alzarono gridando: all'armi! all'armi! Poi votarono gli altri: l'agnello, la lepre, il cervo, l'asino, la tribù degli insetti, dei pesci e degli uccelli, così timidi di fronte all'uomo, s'intromisero e gemettero: pace! E, vedete, genovesi, i vigliacchi erano più numerosi dei prodi che volevano combattere, gli sciocchi più dei savi. Così vinse la maggioranza. Il governo degli animali depose le armi, e l'uomo saccheggiò il territorio. Anche questo sistema politico fu ripudiato. Genovesi, verso quale governo vi sareste indirizzati voi?
Il Primo e il Secondo Cittadino
Un comitato! Un comitato!
Fiesco
Quest'opinione piacque. Gli affari dello stato furono divisi senza indugio in tanti dipartimenti. I lupi si incaricarono delle finanze, e presero per segretarie le volpi. I colombi stavano alla giustizia, i giudici conciliatori erano rappresentati dalle tigri, e i becchi decidevano delle cause coniugali; i soldati eran lepri, e leoni ed elefanti avevano cura dei bagagli, ambasciatore era l'asino e la talpa sovraintendente degli uffici. Genovesi, cosa avreste sperato voi da questa saggia ripartizione? Chi non veniva sbranato dal lupo era ingannato dalla volpe, chi sfuggiva alla volpe era calpestato dall'asino. Le tigri sgozzavano gli innocenti, mentre i ladri e gli assassini venivano graziati dalle colombe; e alla fine, quando si deponevano le cariche, la talpa concludeva che tutto era stato amministrato in modo perfetto... Allora gli animali si ribellarono... Fateci eleggere un monarca, gridarono tutti, un monarca che abbia artigli e cervello, ma un solo stomaco... Allora tutti fecero omaggio ad un solo capo — uno solo, badate, genovesi —, ma costui (avanzando con maestà in mezzo a loro) era il leone!
Tutti (battendo le mani e gettando per aria i berretti)
Bravo! bravo! Un'idea da furbi.
Il Primo Cittadino
Un'idea che Genova deve imitare, ed essa ha già il suo uomo.
Fiesco
Non voglio sapere chi è. Su, andate alle vostre case e pensate al leone!
(I cittadini escono tumultuando.) ...
Genovesi, un giorno scoppiò la guerra civile nel regno degli animali, i partiti si combattevano fra loro, finché un cane da macellaio s'impadronì del trono, e, abituato a cacciar le bestie al macello, governava in modo bestiale, abbaiava, mordeva e spolpava il popolo fino all'osso. Il paese mormorava, finché un giorno i più audaci si unirono e scannarono il regale mastino. Si tenne quindi seduta per decidere qual tipo di governo fosse il migliore. Si formarono allora tre diverse correnti. Genovesi, quale forma di governo avreste scelto voi?
Primo Cittadino
Il governo del popolo! Tutti per il popolo!
Fiesco
E infatti vinse il popolo, e vi fu un governo democratico. Ogni cittadino diede il proprio voto e vinse la maggioranza. Non passarono che poche settimane, ed ecco che l'uomo dichiara la guerra a quel libero stato creato così di recente e lo stato si riunì in assemblea. Il cavallo, il leone, la tigre, l'orso, l'elefante e il rinoceronte si alzarono gridando: all'armi! all'armi! Poi votarono gli altri: l'agnello, la lepre, il cervo, l'asino, la tribù degli insetti, dei pesci e degli uccelli, così timidi di fronte all'uomo, s'intromisero e gemettero: pace! E, vedete, genovesi, i vigliacchi erano più numerosi dei prodi che volevano combattere, gli sciocchi più dei savi. Così vinse la maggioranza. Il governo degli animali depose le armi, e l'uomo saccheggiò il territorio. Anche questo sistema politico fu ripudiato. Genovesi, verso quale governo vi sareste indirizzati voi?
Il Primo e il Secondo Cittadino
Un comitato! Un comitato!
Fiesco
Quest'opinione piacque. Gli affari dello stato furono divisi senza indugio in tanti dipartimenti. I lupi si incaricarono delle finanze, e presero per segretarie le volpi. I colombi stavano alla giustizia, i giudici conciliatori erano rappresentati dalle tigri, e i becchi decidevano delle cause coniugali; i soldati eran lepri, e leoni ed elefanti avevano cura dei bagagli, ambasciatore era l'asino e la talpa sovraintendente degli uffici. Genovesi, cosa avreste sperato voi da questa saggia ripartizione? Chi non veniva sbranato dal lupo era ingannato dalla volpe, chi sfuggiva alla volpe era calpestato dall'asino. Le tigri sgozzavano gli innocenti, mentre i ladri e gli assassini venivano graziati dalle colombe; e alla fine, quando si deponevano le cariche, la talpa concludeva che tutto era stato amministrato in modo perfetto... Allora gli animali si ribellarono... Fateci eleggere un monarca, gridarono tutti, un monarca che abbia artigli e cervello, ma un solo stomaco... Allora tutti fecero omaggio ad un solo capo — uno solo, badate, genovesi —, ma costui (avanzando con maestà in mezzo a loro) era il leone!
Tutti (battendo le mani e gettando per aria i berretti)
Bravo! bravo! Un'idea da furbi.
Il Primo Cittadino
Un'idea che Genova deve imitare, ed essa ha già il suo uomo.
Fiesco
Non voglio sapere chi è. Su, andate alle vostre case e pensate al leone!
(I cittadini escono tumultuando.) ...
Una pagina di poesia: "Lode di Ysolt", di Ezra Pound
Vanamente ho lottato
per insegnare al cuore a inchinarsi;
Vanamente gli ho detto
"Vi sono altri cantori più grandi di te".
Ma la risposta giunge, come il vento e il liuto,
Come un vago lamento nella notte
Che non mi dà requie e dice sempre:
"Un canto, un canto".
I loro echi s'intrecciano nel crepuscolo
Cercando sempre un canto.
Ah, sono spossato
E il vagare per le molte strade ha fatto dei miei occhi
Rossi cerchi scuri pieni di polvere.
Eppure mi possiede un tremore nel crepuscolo,
E parole rosse folletti gridano: "Un canto",
Parole grigi folletti gridano per un canto,
Parole foglioline brune gridano "Un canto"
Parole foglioline verdi gridano per un canto.
Le parole sono come foglie, come vecchie foglie brune in primavera
che dove vadano non sanno, in cerca di una canzone.
Parole bianche come fiocchi di neve, ma sono gelide,
Parole di muschio, parole sulle labbra, parole di lenti ruscelli.
Vanamente ho lottato
per insegnare all'anima a inchinarsi,
Vanamente le ho detto:
"Vi sono altre anime più grandi di te".
Poiché nel mattino della mia vita una donna venne a me
Come richiamo di chiaro di luna,
Come la luna chiama le maree,
"Un canto, un canto!"
Perciò scrissi per lei un canto ed ella s'allontanò
Come s'alza la luna dal mare,
Ma ancora venivano le parole foglie, le parole folletti bruni
E dicevano "L'anima ci manda".
"Un canto, un canto!"
E invano gridai a loro "Non ho canti
Poiché quella che cantavo mi ha lasciata".
La mia anima mandò una donna, donna di un mondo meraviglioso,
Come un incendio sopra le pinete
che gridava: "Un canto, un canto".
Come la fiamma grida alla linfa.
Il mio canto s'infocò di lei ed ella s'allontanò
Come fiamma che si parta dalle braci, verso nuove foreste,
E con me rimasero le parole
sempre gridando "Un canto, un canto".
E io "Io non ho canti",
Finché l'anima non mandò una donna come il sole:
Oh sì, come il sole chiama il seme,
Come la primavera sopra il ramo
Così giunge ella, madre dei canti,
Colei che ha parole meravigliose in fondo agli occhi,
Le parole, folletti parole
che m'invocano sempre,
"Un canto, un canto".
Vanamente ho lottato con la mia anima
per insegnare all'anima a inchinarsi.
Quale anima s'inchina
con te nel cuore?
per insegnare al cuore a inchinarsi;
Vanamente gli ho detto
"Vi sono altri cantori più grandi di te".
Ma la risposta giunge, come il vento e il liuto,
Come un vago lamento nella notte
Che non mi dà requie e dice sempre:
"Un canto, un canto".
I loro echi s'intrecciano nel crepuscolo
Cercando sempre un canto.
Ah, sono spossato
E il vagare per le molte strade ha fatto dei miei occhi
Rossi cerchi scuri pieni di polvere.
Eppure mi possiede un tremore nel crepuscolo,
E parole rosse folletti gridano: "Un canto",
Parole grigi folletti gridano per un canto,
Parole foglioline brune gridano "Un canto"
Parole foglioline verdi gridano per un canto.
Le parole sono come foglie, come vecchie foglie brune in primavera
che dove vadano non sanno, in cerca di una canzone.
Parole bianche come fiocchi di neve, ma sono gelide,
Parole di muschio, parole sulle labbra, parole di lenti ruscelli.
Vanamente ho lottato
per insegnare all'anima a inchinarsi,
Vanamente le ho detto:
"Vi sono altre anime più grandi di te".
Poiché nel mattino della mia vita una donna venne a me
Come richiamo di chiaro di luna,
Come la luna chiama le maree,
"Un canto, un canto!"
Perciò scrissi per lei un canto ed ella s'allontanò
Come s'alza la luna dal mare,
Ma ancora venivano le parole foglie, le parole folletti bruni
E dicevano "L'anima ci manda".
"Un canto, un canto!"
E invano gridai a loro "Non ho canti
Poiché quella che cantavo mi ha lasciata".
La mia anima mandò una donna, donna di un mondo meraviglioso,
Come un incendio sopra le pinete
che gridava: "Un canto, un canto".
Come la fiamma grida alla linfa.
Il mio canto s'infocò di lei ed ella s'allontanò
Come fiamma che si parta dalle braci, verso nuove foreste,
E con me rimasero le parole
sempre gridando "Un canto, un canto".
E io "Io non ho canti",
Finché l'anima non mandò una donna come il sole:
Oh sì, come il sole chiama il seme,
Come la primavera sopra il ramo
Così giunge ella, madre dei canti,
Colei che ha parole meravigliose in fondo agli occhi,
Le parole, folletti parole
che m'invocano sempre,
"Un canto, un canto".
Vanamente ho lottato con la mia anima
per insegnare all'anima a inchinarsi.
Quale anima s'inchina
con te nel cuore?
venerdì 6 febbraio 2009
Una pagina di poesia: "Il mio paese mi fa male", di Robert Brasillach
Il mio paese mi fa male per le sue vie affollate,
Per i suoi ragazzi gettati sotto gli artigli delle aquile insanguinate,
Per i suoi soldati combattenti in vane sconfitte
E per il cielo di giugno sotto il sole bruciante.
Il mio paese mi fa male in questi empi anni,
Per i giuramenti non mantenuti,
Per il suo abbandono e per il destino,
E per il grave fardello che grava i suoi passi.
Il mio paese mi fa male per tutti i suoi doppi giochi,
Per l'oceano aperto ai neri vascelli carichi,
Per i suoi marinai morti per placare gli dèi,
Per i suoi legami troncati da una forbice troppo lieve.
Il mio paese mi fa male per tutti i suoi esilii,
Per le sue prigioni troppo piene, per i suoi giovani morti,
Per i suoi prigionieri assassinati dietro il filo spinato,
E tutti quelli che sono lontani e dispersi.
Il mio paese mi fa male con le sue città in fiamme,
Male contro i nemici e male con gli alleati,
Il mio paese mi fa male nel corpo e nell'anima,
Sotto i pesanti ferri dai quali è legato.
Il mio paese mi fa male con tutta la sua giovinezza
Sotto bandiere straniere, gettata ai quattro venti,
Perdendo il suo giovane sangue in rispetto al giuramento
Tradito da coloro che lo avevano fatto.
Il mio paese mi fa male con le sue fosse scavate,
Con i suoi fucili puntati alle reni dei fratelli,
E per coloro che contano fra le dita spregevoli,
Il prezzo dei rinnegati piuttosto che una più equa ricompensa.
Il mio paese mi fa male per la sua falsità di schiavi,
Con i suoi carnefici di ieri e con quelli di oggi
Mi fa male col sangue che scorre,
Il mio paese mi fa male. Quando riuscità a guarire?
18 novembre 1944
Per i suoi ragazzi gettati sotto gli artigli delle aquile insanguinate,
Per i suoi soldati combattenti in vane sconfitte
E per il cielo di giugno sotto il sole bruciante.
Il mio paese mi fa male in questi empi anni,
Per i giuramenti non mantenuti,
Per il suo abbandono e per il destino,
E per il grave fardello che grava i suoi passi.
Il mio paese mi fa male per tutti i suoi doppi giochi,
Per l'oceano aperto ai neri vascelli carichi,
Per i suoi marinai morti per placare gli dèi,
Per i suoi legami troncati da una forbice troppo lieve.
Il mio paese mi fa male per tutti i suoi esilii,
Per le sue prigioni troppo piene, per i suoi giovani morti,
Per i suoi prigionieri assassinati dietro il filo spinato,
E tutti quelli che sono lontani e dispersi.
Il mio paese mi fa male con le sue città in fiamme,
Male contro i nemici e male con gli alleati,
Il mio paese mi fa male nel corpo e nell'anima,
Sotto i pesanti ferri dai quali è legato.
Il mio paese mi fa male con tutta la sua giovinezza
Sotto bandiere straniere, gettata ai quattro venti,
Perdendo il suo giovane sangue in rispetto al giuramento
Tradito da coloro che lo avevano fatto.
Il mio paese mi fa male con le sue fosse scavate,
Con i suoi fucili puntati alle reni dei fratelli,
E per coloro che contano fra le dita spregevoli,
Il prezzo dei rinnegati piuttosto che una più equa ricompensa.
Il mio paese mi fa male per la sua falsità di schiavi,
Con i suoi carnefici di ieri e con quelli di oggi
Mi fa male col sangue che scorre,
Il mio paese mi fa male. Quando riuscità a guarire?
18 novembre 1944
giovedì 5 febbraio 2009
Una canzone: "Il domani appartiene a noi"
Ascolta il ruscello che sgorga lassù
ed umile a valle scompar,
e guarda l’argento del fiume
che sereno e sicuro va.
Osserva dell’alba il primo baglior
che annuncia la fiamma del sol
ciò che nasce puro, più grande vivrà
e vince l’oscurità.
La tenebra fugge i raggi del sol
Iddio dà gioia e calor
nei cuori la speranza non morirà.
Il domani appartiene a noi.
Ascolta il mio canto che sale nel ciel
verso l’immensità
unisci il tuo grido di libertà
comincia l’uomo a lottar.
Chi sfrutta nell’ombra sapremo stanar
se uniti noi marcerem
l’usura e il pugno noi vincerem.
Il domani appartiene a noi.
La terra dei padri, la fede immortal
nessuno potrà cancellar
il sangue, il lavoro, la civiltà.
Cantiamo la tradizion.
La terra dei padri, la fede immortal,
nessuno potrà cancellar
il popolo vinca dell’oro i signor.
Il domani appartiene a noi.
ed umile a valle scompar,
e guarda l’argento del fiume
che sereno e sicuro va.
Osserva dell’alba il primo baglior
che annuncia la fiamma del sol
ciò che nasce puro, più grande vivrà
e vince l’oscurità.
La tenebra fugge i raggi del sol
Iddio dà gioia e calor
nei cuori la speranza non morirà.
Il domani appartiene a noi.
Ascolta il mio canto che sale nel ciel
verso l’immensità
unisci il tuo grido di libertà
comincia l’uomo a lottar.
Chi sfrutta nell’ombra sapremo stanar
se uniti noi marcerem
l’usura e il pugno noi vincerem.
Il domani appartiene a noi.
La terra dei padri, la fede immortal
nessuno potrà cancellar
il sangue, il lavoro, la civiltà.
Cantiamo la tradizion.
La terra dei padri, la fede immortal,
nessuno potrà cancellar
il popolo vinca dell’oro i signor.
Il domani appartiene a noi.
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