giovedì 31 dicembre 2009

Una pagina di narrativa: "Novantatré", di Victor Hugo

«Io sono il fratello di quello che avete fatto fucilare.»
Il vecchio rialzò lentamente il capo.
L'uomo che gli parlava era sulla trentina. Aveva la fronte abbronzata dal mare; gli occhi erano singolari, con lo sguardo sagace del marinaio nella pupilla credula del contadino. I pugni stringevano vigorosamente i remi. Aveva un'aria mite.
Alla cintola, gli si vedevano un pugnale, due pistole e un rosario.
«Chi sei?» chiese il vecchio.
«Ve l'ho appena detto.»
«Che cosa vuoi farmi?»
L'uomo lasciò i remi, incrociò le braccia e disse: «Uccidervi.»
«Come vuoi,» disse il vecchio.
L'uomo alzò la voce. «Preparatevi.»
«A che?»
«A morire.»
«Perché?» chiese il vecchio.
Ci fu un silenzio. Per un attimo, l'uomo parve come interdetto dalla domanda. Riprese: «Ho detto che voglio uccidervi.»
«E io ti ho chiesto perché.»
Un lampo guizzò negli occhi del marinaio. «Perché avete ucciso mio fratello.»
Il vecchio riprese calmo: «Ho cominciato col salvargli la vita.»
«Vero. Prima l'avete salvato, e poi ucciso.»
«Non sono io che l'ho ucciso.»
«E chi dunque?»
«La sua colpa.»
Il marinaio fissò a bocca aperta il vecchio, poi le sopracciglia tornarono ad aggrottarsi con aria feroce.
«Come ti chiami?»
«Mi chiamo Halmalo, ma non avete bisogno di sapere il mio nome per essere ucciso da me.»
In quella, il sole spuntò. Un raggio colpì il marinaio in pieno volto, illuminandone vivido il selvaggio sembiante. Il vecchio l'osservò con attenzione.
Il cannoneggiamento, che continuava sempre, adesso aveva interruzioni e sussulti agonici. Un'immensa cortina di fumo gravava sull'orizzonte. Il canotto, non più guidato dal rematore, andava alla deriva.
Con la mano destra il marinaio afferrò una delle pistole, con la sinistra il rosario.
Il vecchio si alzò in piedi. «Credi in Dio?»
«In Nostro Padre che sta nei cieli, sì!» rispose il marinaio. E si segnò.
«Tua madre è ancora viva?»
«Sì.» Si segnò un'altra volta. Quindi riprese: «E' deciso. Vi concedo un minuto, monsignore.» E armò il cane.
«Perché mi chiami monsignore?»
«Perché siete un signore. Lo si vede.»
«E tu, hai un signore, tu?»
«Sì, e grande anche. Si vive forse senza un signore?»
«Dove si trova?»
«Non so. Ha lasciato il paese. Si chiama monsignore il marchese il Lantenac, visconte di Fontenay, principe in Bretagna; è il signore delle Sette Foreste. Io non l'ho mai visto, ma questo non toglie che sia il mio padrone.»
«E se lo vedessi, gli obbediresti?»
«Certo. Altrimenti se non gli obbedissi, sarei un pagano! Si deve obbedienza a Dio, e poi al re che è come Dio, e poi al signore che è come il re. Ma questo non c'entra, voi avete ucciso mio fratello, e io devo uccidervi.»
Il vecchio rispose: «In primo luogo, se ho uccisio tuo fratello ho fatto bene.»
Il marinaio serrò il pugno attorno alla pistola. «Adesso basta,» disse.
«Come vuoi,» replicò il vecchio. E, tranquillo soggiunse: «Dov'è il prete?»
Il marinaio lo fissò. «Il prete?»
«Già, il prete. A tuo fratello io ho dato un prete, e tu mi devi un prete.»
«Non ne ho,» rispose il marinaio. E continuò: «Ci son forse preti in alto mare?»
Si udivano le detonazioni convulse della battaglia sempre più lontane.
«Quelli che muoiono laggiù, il loro ce l'hanno,» osservò il vecchio.
«E' vero,» mormorò il marinaio. «Hanno il signor cappellano.»
Il vecchio proseguì: «La cosa grave, è che tu perdi la mia anima.»
Il marinaio chinò il capo, pensieroso.
«E perdendo la mia anima,» riprese il vecchio, «perdi la tua. Ascolta. Io ho pietà di te. Fa' come preferisci. Quanto a me, ho appena compiuto il mio dovere, dapprima salvando la vita a tuo fratello e poi togliendogliela, e compio adesso il mio dovere cercando di salvare la tua anima. Rifletti. E' una faccenda che ti riguarda. Li senti i colpi di cannone proprio in questo momento? Laggiù vi sono uomini che periscono, disperati che agonizzano, mariti che non rivedranno più il figlio, fratelli che, al pari di te, non rivedranno più il fratello. E per colpa di chi? Per colpa di tuo fratello.
«Tu credi in Dio, nevvero? Ebbene, sappi che Dio soffre in questo momento; Dio soffre nel suo cristianissimo figlio, il re di Francia che è un bambino come il bambin Gesù e che è imprigionato nella torre del Tempio; Dio soffre nella sua chiesa di Bretagna; Dio soffre nelle sue cattedrali oltraggiate, nei suoi vangeli fatti a pezzi, nei suoi conventi violati; Dio soffre nei suoi preti assassinati.
«Che cosa venivamo a fare, noi, su quella nave che in questo momento perisce? Venivamo a soccorrere Dio. Se tuo fratello fosse stato un buon servitore, se avesse fedelmente adempiuto al suo compito di uomo assennato e utile, l'incidente della carronata non sarebbe accaduto, la corvetta non sarebbe andata alla deriva, non avrebbe perso la rotta, non si sarebbe imbattuta in quella flotta maledetta, e a quest'ora noi staremmo sbarcando in Francia, tutti, da quei valorosi uomini di guerra e di mare che siamo, a sciabola sguainata, vessillo bianco spiegato, tanti, felici, allegri, e andremmo in aiuto ai bravi contadini di Vandea per salvare la Francia, salvare il re, salvare Dio.
«Ecco quel che venivamo a fare, ecco quel che faremmo. Ecco quanto io, l'unico superstite, vengo a fare. Ma tu ti opponi. In questa lotta degli empi contro i sacerdoti, in questa lotta dei regicidi contro il re, in questa lotta di Satana contro Dio, tu opti per Satana. Tuo fratello era stato il primo aiutante del diavolo, tu sei il secondo. Lui ha cominciato, tu concludi. Tu sei per i regicidi contro il trono, tu sei per gli empi contro la Chiesa. Tu togli a Dio la sua ultima risorsa. Perché io, io che rappresento il re, non sarò là, i villaggi continueranno a bruciare, le famiglie a piangere, i sacerdoti a sanguinare, la Bretagna a soffrire, il re a stare in prigione, e Gesù Cristo a disperarsi. E a chi si dovrà tutto questo? A te. Forza, è affar tuo.
«Io facevo assegnamento su di te per il contrario. Mi sono sbagliato. Ah, già, è vero, hai ragione tu, io ho ucciso tuo fratello. Tuo fratello era stato coraggioso, e io l'ho ricompensato; era stato colpevole, e io l'ho punito. Aveva mancato al suo dovere, io non ho mancato al mio. Ciò che ho fatto, lo rifarei. E in un caso simile, lo giuro su sant'Anna di Auray che ci vede, come ho fatto fucilare tuo fratello farei fucilare mio figlio. Adesso, sei tu il padrone. Ma ti compiango. Hai mentito al tuo capitano.
«Tu, cristiano, sei un infedele; tu, bretone, sei senza onore; sono stato affidato alla tua lealtà, e sono stato accolto dal tuo tradimento; tu dai la mia morte a coloro ai quali hai promesso la mia vita. Sai chi è il perdente, qui? Sei tu. Tu sottrai la mia vita al re e consegni la tua eternità al demonio. Su, commetti il tuo delitto, sono pronto. Vendi a basso prezzo la tua parte di paradiso. Grazie a te il diavolo vincerà; grazie a te le chiese cadranno; grazie a te i pagani continueranno a fondere le campane per farne cannoni e mitraglieranno gli uomini con ciò che salvava le anime.
«Nel momento in cui ti parlo, può darsi che la campana che ha suonato per il tuo battesimo uccida tua madre. Su, aiuta il demonio. Non fermarti. Sì, ho condannato tuo fratello, ma sappi che io sono uno strumento di Dio. Ah, tu giudichi i mezzi di Dio! Oseresti dunque giudicare la folgore che è in cielo? Disgraziato, sarà essa a giudicarti. Attento a quel che stai per fare. Sai almeno se sono in stato di grazia? No. Ma non te ne importa. Fa' come vuoi. Sei libero di gettarmi all'inferno e di gettartici con me. Davanti a Dio, il responsabile sarai tu. Siamo soli, e uno di fronte all'altro nell'abisso. Continua, termina, concludi. Io sono vecchio e tu sei giovane; io sono privo di armi, e tu armato; uccidimi.»
Mentre il vecchio, in piedi, con voce che sovrastava il suono del mare, pronunciava queste parole, il dondolio delle onde lo faceva apparire ora in ombra, ora in luce; il marinaio era illividito; grosse gocce di sudore gli colavano dalla fronte; tremava come una foglia; a tratti baciava il rosario; come il vecchio ebbe finito, gettò la pistola e cadde in ginocchio.
«Grazia, monsignore! Perdonatemi,» gridò. «Voi parlate come il buon Dio. Ho torto. Mio fratello ha avuto torto. Farò qualsiasi cosa per riparare al suo delitto. Disponete di me. Comandate. Io obbedirò.»
«Ti faccio grazia,» disse il vecchio.

mercoledì 4 novembre 2009

Una canzone: "Budapest", di Leo Valeriano

Sto sul monte e guardo giù,
dove sorge una città
sulle torri delle chiese
strilla forte il gallo rosso
rosso il cielo delle fiamme
rosse le strade di sangue
rossi sono i carri armati,
sta bruciando Budapest.
Oh Budapest!
soli abbiamo perduto
erano in tanti a parlare
quando non costava niente
e adesso chi c’è a morire con noi!!!

Tu borghese d’occidente
tu che hai moglie, figli e amante
le tue case sono calde
e non ti va di rischiare per Budapest.
Tu borghese d’occidente
hai raccolto sacchi d’oro
nati dal sangue magiaro
e poi ci hai incatenati al gigante dell’Est

Oh Budapest!
soli abbiamo perduto
erano in tanti a parlare
quando non costava niente
e adesso chi c’è a morire con noi!!!

Qui sul monte sto guardando
la fine di un’illusione
nata lungo il nostro fiume
e che muore assassinata con Budapest.

Oh Budapest!
soli abbiamo perduto
erano in tanti a parlare
quando non costava niente
e adesso chi c’è a morire con noi!!!

giovedì 17 settembre 2009

Una canzone: "Ribelli di Vandea"

Ride la piazza ed urla
al sangue che colora
il collo dei soldati
fedeli alla Corona,
che sopra i ceppi han’ baciato
i gigli dell’onore,
che col sorriso han’ gettato
di sfida un guanto ancor.

Siam del Re,
ladri e cavalieri,
nella notte noi andiam
il vento freddo del terrore
non ci potrà fermar.


La fede che noi
serviam con onor
dentro ai nostri cuor risplende
come un bel simbolo d’Amore
che al tron ci legò.
Spade di Vandea,
falci della boscaglia,
baroni e contadini,
ci aspetta la battaglia,
per giustiziar chi tagliò il giglio
là sulle ghigliottine,
per riabbracciar il sole di Francia
sulle nostre colline.

Siam del Re,
ladri e cavalieri,
nella notte noi andiam
il vento freddo del terrore
non ci potrà fermar.


Se un rosso fior
nasce in petto a noi,
è sangue di chi crede ancor,
di chi combatte i vincitor,
di uomini d’onor.
Nei cieli devastati
da giudici plebei,
dall’odio dei tribuni,
dal pianto degli dèi,
sbocciano i fior che i cavalieri
portano su i mantelli
son bianchi gigli che han’ profumato
il canto dei ribelli.

Siam del Re,
ladri e cavalieri,
nella notte noi andiam
il vento freddo del terrore
non ci potrà fermar.

martedì 15 settembre 2009

Una pagina di teatro: "Coriolano", di William Shakespeare

Menenio
Salve, nobile Marzio.

Marzio
Grazie. Che c'è, cani ringhiosi, che a forza di grattarvi i pizzicori ideologici, vi siete fatti tutta una rogna?

I° Cittadino
Sempre una buona parola, voi.

Marzio
Chi avrà buone parole per voialtri sarà un adulatore peggio che ripugnante. Che cosa pretendereste, razza di cani, inadatti alla pace come alla guerra, ché l'una vi atterrisce l'altra vi ringalluzzisce? Chi confidasse in voi, troverebbe poi lepri dove s'aspetta leoni e dove volpi, oche. Non siete più sicuri, no, di un carbone acceso sul ghiaccio, né di un ghiacciolo al sole. Tutto quel che sapete fare, è di esaltare chi è carico di colpe e di odiare il giudice che lo condanna. Chi conquista un grado si acquista l'odio vostro; i vostri affetti sono l'appetito del malato, che più desidera quello che più gli nuoce. Affidarsi al vostro favore è come nuotar con pinne di piombo o abbattere una quercia con un giunco. In galera! Aver fiducia in voi, che mutate parere di punto in bianco, e conclamate nobile quello che v'era in odio un attimo prima e vile quello che or ora acclamavate degno di corona! Che avete adesso da schiamazzare in questa o in quella piazza della città contro l'autorità del Senato il quale, dopo gli dèi, è il solo a tenervi in timore, e così a trattenervi dal divorarvi l'un con l'altro? (Ad Agrippa) Che vanno cercando?

Menenio
Grano a buon prezzo, ché — dicono loro — la città ne ha a bizzeffe.

Marzio
In galera. «Dicono loro?» — Sempre acchiocciati davanti al fuoco, stanno; e poi pretendono di sapere che cosa si fa su, in Campidoglio: e chi sorge e chi è in auge e chi declina; combinano fazioni e matrimoni, a vanvera; esaltano i partiti, e quello che non è di lor gusto se lo mettono sotto la suola delle loro scarpe rabberciate. Dicono che del grano ce n'è a bizzeffe. Ah se i patrizi si scordassero un po' della misericordia e mi lasciassero usar della mia spada, a migliaia vorrei squartarmeli questi schiavi e farne un mucchio alto fin dove arriva la mia lancia scagliata in aria.

lunedì 6 luglio 2009

Una canzone: "Fortuna Imperatrix Mundi"

I

O Fortuna,
Velut luna
statu variabilis,
semper crescis
aut decrescis;
vita detestabilis
nunc odurat
et tunc curat
ludo mentis aciem,
egestatem,
potestatem
dissolvit ut glaciem.
Sors immanis
et inanis,
rota tu volubilis,
status malus,
vana salus
semper dissolubilis,
obumbrata
et velata
michi quoque niteris;
nunc per ludum
dorsum nudum
fero tui sceleris.

Sors salutis
et virtutis
michi nunc contraria,
est affectus
et defectus
semper in angaria.
Hac in hora
sine mora
corde pulsum tangite;
quod per sortem
sternit fortem,
mecun omnes plangite!


II

Fortune plango vulnera
stillantibus ocellis,
quod sua michi munera
subtrahit rebellis.
verum est, quod legitur,
fronte capillata,
sed plerumque sequitur
Occasio calvata

In Fortune solio
sederam elatus,
prosperitatis vario
flore coronatus;
quicquid tamen florui
felix et beatus,
nunc a summo corrui
gloria privatus.

Fortune rota volvitur:
descendo minoratus;
alter in altum tollitur;
nimis exaltatus
rex sedet in vertice -
caveat ruinam!
nam sub axe legimus
Hecubam reginam.



Carmina Burana, musicato da Carl Orff

domenica 28 giugno 2009

Una canzone: "Papa don't preach", di Madonna

Papà so che ti arrabbierai
perché io sono sempre stata la tua bambina
ma dovresti sapere ormai
che non sono così piccola
mi hai sempre insegnato la differenza tra giusto e sbagliato
ho bisogno del tuo aiuto, papi per favore sii forte
posso essere giovane di spirito
ma so quello che sto dicendo
il tipo su cui mi hai messo in guardia per tutto
quello che tu dicevi che potevo farne senza
siamo in un gran casino, e
non voglio dire forse — ti prego
papà non farmi la predica, sono in un mare di guai
papà non farmi la predica, ho perso il sonno
ma mi sono decisa, terrò il mio bambino, oh
terrò il mio bambino, mmm...
Lui dice che mi sposerà e potremo allevare una piccola famiglia
forse staremo bene, è un sacrificio
ma i miei amici continuano a dirmi di lasciar perdere
dicendo che sono troppo giovane, dovrei godermi la vita
quello di cui ho bisogno ora è un buon consiglio, per favore
papà non farmi la predica, sono in un mare di guai
papà non farmi la predica, ho perso il sonno
ma mi sono decisa, terrò il mio bambino, oh
terrò il mio bambino, mmm...
Papi, papi se potessi solo vedere
come lui mi ha trattata bene
ci daresti la tua benedizione subito
perché siamo innamorati, siamo innamorati, perciò ti prego
papà non farmi la predica, sono in un mare di guai
papà non farmi la predica, ho perso il sonno
ma mi sono decisa, terrò il mio bambino, oh
terrò il mio bambino, mmm...
Papà non farmi la predica, sono in un mare di guai
papà non farmi la predica, ho perso il sonno
papà non farmi la predica, sono in un mare di guai
papà non farmi la predica, ho perso il sonno
oh, terrò il mio bambino, ooh
non smettere di amarmi papi
lo so, terrò il mio bambino.

venerdì 26 giugno 2009

Un apagina di poesia: "Sestina: Altaforte", di Ezra Pound

Loquitur En Bertrans de Born.
Dante Alighieri mise quest'uomo nell'Inferno perché era un seminatore di discordia.
Eccovi! Giudicate! Scavando, l'ho tratto fuori nuovamente?
La scena è al suo castello, Altaforte. "Papiols" è il suo giullare.
"Il Leopardo", la divisa di Riccardo Cuor di Leone.



I
All'inferno! la pace appesta tutto il nostro Sud.
Tu, cane bastardo, Papiols, vieni! Diamoci alla musica!
Io non ho vita tranne quando cozzano le spade.
Ma quando vedo stendardi d'oro, di vaio, violacei, opporsi
E i vasti campi sotto loro farsi vermigli,
Allora urla il mio cuore quasi pazzo di gioia.

II
Nell'ardore dell'estate provo immensa gioia
Quando le tempeste sulla terra ne uccidono la sporca pace,
E i fulmini dal cielo nero sfolgorano vermigli,
E i tuoni furiosamente ruggiscono a me la loro musica
E i venti ululano tra le pazze nuvole, nell'opporsi,
E per tutto il cielo lacerato le spade di Dio cozzano.

III
Conceda l'inferno di sentire presto il cozzo delle spade!
E i nitriti acuti dei destrieri che gioiscono nella battaglia,
Petto chiodato opporsi a petto chiodato!
Meglio un'ora di battaglia che un anno di pace
Con tavole opime, lazzi osceni, vino e lieve musica!
Bah! non c'è vino che eguagli il vermiglio del sangue!

IV
E io amo vedere il sole levarsi rosso-sangue.
E guardo le sue lance per il buio cozzare di armi
E mi riempie il cuore di gioia
E mi spalanca la bocca con una forte musica
Quando lo vedo così sdegnare e sfidare la pace,
La sua forza solitaria alle grandi tenebre opporsi.

V
L'uomo che teme la guerra e s'accascia opponendosi
Alle mie parole per la battaglia, non ha sangue vermiglio,
Adatto solo a marcire nella femminea pace
Lungi da dove il valore ha vinto e le spade cozzano
Per la morte di tali baldracche io gioisco;
Sì, riempio tutta l'aria della mia musica.

VI
Papiols, Papiols, alla musica!
Non c'è suono che uguagli l'opporsi di spade a spade,
Né grido simile all'urlo di gioia in battaglia
Quando gomiti e spade stillano sangue vermiglio
E le nostre cariche cozzano contro l'assato del "Leopardo".
Maledica per sempre Iddio quelli che gridano "Pace"!

VII
E che la musica delle spade vermigli li renda!
L'inferno conceda presto che di nuovo s'odi il cozzar delle spade!
L'inferno cancelli in nero per sempre il pensiero "Pace"!

venerdì 29 maggio 2009

Marco Solfanelli e Franco Barnabè


Il dottor Franco Bernabè, a nome di Telecom Italia, ringrazia Marco Solfanelli del lavoro svolto in occasione del sisma che ha colpito L’Aquila e l’Abruzzo.

San Donato Golf, Santi di Preturo (AQ) - 29/05/2009

giovedì 7 maggio 2009

Una pagina di teatro: "Il mercante di Venezia", di William Shakespeare

Salarino
Che voi sappiate, Antonio ha avuto perdite in mare?

Shylock
Anche questo è un cattivo affare. E' un fallito, un prodigo, che osa appena mostrare il suo muso a Rialto; un accattone che quando veniva in mercato si metteva sempre in ghingheri; ditegli che badi al suo contratto; aveva l'abitudine di chiamarmi usuraio; ditegli che badi al suo contratto; aveva l'abitudine di prestar gratis il danaro per cristiano amor del prossimo; ditegli che badi al suo contratto.

Salarino
Sono certo che alla scadenza tu non pretenderesti la sua carne; a che ti servirebbe?

Shylock
A farci l'esca pei pesci; e se non ci potrò nutrire niente altro ci nutrirò la mia vendetta. M'ha rovinato e poi m'ha impedito di guadagnare mezzo milione; ha riso delle mie perdite, m'ha canzonato pei miei guadagni, ha schernito la mia nazione, s'è messo di traverso nei miei affari, ha gelato i miei amici, ha riscaldato i miei nemici. E tutto questo perché? Perché sono un ebreo. Un ebreo non ha occhi? un ebreo non ha mani, membra, sensi, affetti, passioni? non si nutre dello stesso cibo, non è ferito dalle stesse armi, non va soggetto alle stesse malattie, non si guarsice cogli stessi mezzi, non ha il freddo dello stesso inverno e il caldo della stessa estate d'un cristiano? se ci pungete, non sanguiniamo? se ci fate il solletico, non ridiamo? se ci avvelenate, non moriamo? e se ci offendete, non dobbiamo vendicarci? se siamo uguali a voi in tutto, anche in questo dobbiamo somigliarvi. Se un ebreo offende un cristiano, dove arriva la tolleranza del cristiano? alla vendetta. Se un cristiano offende un ebreo, dove dovrebbe giungere la sopportazione dell'ebreo, secondo l'esempio cristiano? alla vendetta. Mi insegnate a essere malvagio: obbedisco, ma mi sarà difficile non superare i mestri.

martedì 5 maggio 2009

lunedì 4 maggio 2009

Siti di testi

IntraText
http://www.intratext.com/

Internet Sacred Text Archive
http://www.sacred-texts.com/chr/index.htm

Storia contemporanea dell'Europa Orientale

domenica 3 maggio 2009

sabato 2 maggio 2009

Antibufale

Il Disinformatico
http://attivissimo.blogspot.com/

martedì 21 aprile 2009

Una pagina di poesia: "Ité", di Ezra Pound

Mie canzoni, andate a cercar lode tra i giovani e gli insofferenti,
Frequentate solamente gli amanti della perfezione.
Guardate di starvene sempre nella dura luce sofoclea
E sopportatene le ferite con animo lieto.

venerdì 17 aprile 2009

Una canzone: "Berlino", di Leo Valeriano

Il cielo è sempre grigio
la gente indifferente.
Berlino dal muro di fango
ha sempre canzoni di morte.
Berlin, oh mein Berlin, Berlin
cantava nel sole
ogni ragazzo che è morto
per te.

E mentre il mondo invoca la pace
nelle tue strade muore ogni giorno
la Libertà.

Fate parlare la Freederichstrasse!
Fate parlare Brandeburger Tor.
Racconteranno di Seidel.
Racconteranno di Fechter.
E vi diranno le pene
della mia bella città!

Berlin, oh mein Berlin, Berlin
la gente tranquilla
si è già scordata di te.

Daremo ai profughi una coperta
ed un lavoro alle fabbriche Krupp,
purché non turbino il sonno
di queste nostre città:

Berlin, oh mein Berlin, Berlin
nessuno più vuole sentire
la tua preghiera!

Si vive solo per una speranza
che non dimentica la Libertà,
ma sulle croci del muro
c’è l’erba della viltà.

Berlin, oh mein Berlin, Berlin...

Berlin!!!

mercoledì 25 marzo 2009

Una canzone: "Ragazzi di Budapest", di Leo Valeriano

Avanti ragazzi di Buda
avanti ragazzi di Pest
studenti, braccianti, operai,
il sole non sorge più ad Est.
Abbiamo vegliato una notte
la notte dei cento e più mesi
sognando qui giorni d’ottobre,
quest’alba dei giovan’ ungheresi.
Ricordo che avevi un moschetto
sù portalo in piazza, ti aspetto,
nascosta tra i libri di scuola
anch’io porterò una pistola.
Sei giorni e sei notti di gloria
durò questa nostra vittoria
ma al settimo sono arrivati
i russi con i carri armati.
I carri ci schiaccian le ossa,
nessuno ci viene in aiuto
sull’orlo della nostra fossa
il mondo è rimasto seduto.
Iliuscia non dire a mia madre
non dirle che muoio stasera
ma dille che vado in montagna
e che tornerò a primavera.
Compagno, riposa il fucile
torneranno a cantare le fonti,
quel giorno, serrate le file
noi scenderemo dai monti.

lunedì 16 marzo 2009

Una pagina di poesia: "CANTO XLV - Contro l'Usura", di Ezra Pound

Contro l'Usura

Con Usura nessuno ha una solida casa
di pietra squadrata e liscia
per istoriarne la facciata,
con usura
non v'è chiesa con affreschi di paradiso
harpes et luz e l'Annunciazione dell'Angelo
con le aureole sbalzate,
con usura
nessuno vede dei Gonzaga eredi e concubine
non si dipinge per tenersi arte
in casa, ma per venderne venderne
presto e con profitto, peccato contro natura,
il tuo pane sarà straccio vieto
arido come carta,
senza segala né farina di grano duro,
usura appesantisce il tratto,
falsa i confini, con usura
nessuno trova residenza amena.
Si priva lo scalpellino della pietra,
il tessitore del telaio
CON USURA
la lana non giunge al mercato
e le pecore non rendono
peggio della peste è l'usura, spunta
l'ago in mano alle fanciulle
e confonde chi fila. Pieytro Lombardo
non si fe' con usura
Duccio non si fe' con usura
né Pier della Francesca o Zuan Bellini
né fu la «Calunnia» dipinta con usura.
L'Angelico non si fe' con usura, né Ambrogio de Praedris,
Nessuna chiesa di pietra viva firmata: Adamo me fecit.
Con usura non sorsero
Saint Trophine e Saint Hilaire,
Usura arrugginisce il cesello
arrugginisce arte e artigiano
tarla la tela nel telaio, non lascia tempo
per apprendere l'arte d'intessere oro nell'ordito;
l'azzurro s'incancrena con usura; non si ricama
in cremisi, smeraldo non trova il suo Memling
Usura soffoca il figlio nel ventre
arresta il giovane drudo,
cede il letto a vecchi decrepiti,
si frappone tra i giovani sposi
CONTRO NATURA
Ad Eleusi han portato puttane
Carogne crapulano
ospiti d'usura.

sabato 28 febbraio 2009

Una canzone: "In te", di Nek

Risalirò col suo peso
sul petto
come una carpa il fiume
mi spalmerò
sulla faccia rossetto
per farlo ridere
per lui poi comprerò
sacchetti di pop-corn
potrà spargerli
in macchina
per lui non fumerò
a quattro zampe andrò
e lo aiuterò a crescere

lui vive in te
si muove in te
con mani cucciole
è in te
respira in te
gioca e non sa
che tu vuoi buttarlo via

Gli taglierò
una pistola di legno
gli insegnerò a parlare
la sera poi con noi due
farà il bagno
e vi insaponerò.

Per lui mi cambierò
la notte ci sarò
perché non resti solo mai
per lui lavorerò,
la moto venderò
e lo proteggerò, aiutami.

Lui vive in te
Lui ride in te
o sta provandoci
è in te, si scalda in te
dorme o chissà,
lui sta già ascoltandoci.

Lui si accuccerà
dai tuoi seni berrà
con i pugni vicini
tra noi dormirà
e un pò scalcerà
saremo i cuscini noi due.
Con gli occhi chiusi lui
la vita afferra già
il figlio che non vuoi
è già con noi.

Lui vive in te si culla in te
con i tuoi battiti
è in te
lui nuota in te
gioca chissà...
è lui il figlio
che non vuoi

lunedì 23 febbraio 2009

Una canzone: "La carmagnola"

A lu suono de grancascia
viva lu popolo bascio.
A lu suono de tamburielli
sò risorte li puverielli.
A lu suone de campane
viva viva li pupulane.
A lu suono de viuline
morte alli giacubbine.
Sona sona sona carmagnola
sona li cunsiglia viva o rrè cu la famiglia.

A santeremo tanta forte
l’hanno fatto comm’a ricotta
A stu cornuto sbrevognato
l’hanno miss’ ‘a mitria n’capa.
Maistà chi t’ha traduto
chi stù stommaco ha avuto
e signore e cavaliere
te vulevano prigiuniere.

Sona sona sona carmagnola
sona li cunsiglia viva o rrè cu la famiglia.

Alli tredece de giugno
sant’Antonio glurioso
e signure sti birbante
e facettero o mazze tante.
Sò venute li francise
aute tasse nci hanno mise.
Libertè... Egalitè
tu arrobbe ammé io arrobbe attè.

Sona sona sona carmagnola
sona li cunsiglia viva o rrè cu la famiglia.

Li franciese sò arrivate
ci hanno bbuono carusate.
E vuolà e vuolà
cavece n’culo alla libbertà.
E’ fernuta l’uguaglianza
è fernuta la libbertà
pe’ vuie sò dulure e panza
signò jateve a cuccà.

Sona sona sona carmagnola
sona li cunsiglia viva o rrè cu la famiglia.

Passaie lu mese chivuso
le ventuso e l’addiruso
a lu mese ca se mete
hanno avuto l’aglio arrete.
Viva tata maccarone
ca rispetta la religione
Giacubbine iate a mare
ch’abbrucia lu panare.

Sona sona sona carmagnola
sona li cunsiglia viva o rrè cu la famiglia.

mercoledì 11 febbraio 2009

Una pagina di teatro: "La congiura del Fiesco", di Federico Schiller

Fiesco
Genovesi, un giorno scoppiò la guerra civile nel regno degli animali, i partiti si combattevano fra loro, finché un cane da macellaio s'impadronì del trono, e, abituato a cacciar le bestie al macello, governava in modo bestiale, abbaiava, mordeva e spolpava il popolo fino all'osso. Il paese mormorava, finché un giorno i più audaci si unirono e scannarono il regale mastino. Si tenne quindi seduta per decidere qual tipo di governo fosse il migliore. Si formarono allora tre diverse correnti. Genovesi, quale forma di governo avreste scelto voi?

Primo Cittadino
Il governo del popolo! Tutti per il popolo!

Fiesco
E infatti vinse il popolo, e vi fu un governo democratico. Ogni cittadino diede il proprio voto e vinse la maggioranza. Non passarono che poche settimane, ed ecco che l'uomo dichiara la guerra a quel libero stato creato così di recente e lo stato si riunì in assemblea. Il cavallo, il leone, la tigre, l'orso, l'elefante e il rinoceronte si alzarono gridando: all'armi! all'armi! Poi votarono gli altri: l'agnello, la lepre, il cervo, l'asino, la tribù degli insetti, dei pesci e degli uccelli, così timidi di fronte all'uomo, s'intromisero e gemettero: pace! E, vedete, genovesi, i vigliacchi erano più numerosi dei prodi che volevano combattere, gli sciocchi più dei savi. Così vinse la maggioranza. Il governo degli animali depose le armi, e l'uomo saccheggiò il territorio. Anche questo sistema politico fu ripudiato. Genovesi, verso quale governo vi sareste indirizzati voi?

Il Primo e il Secondo Cittadino
Un comitato! Un comitato!

Fiesco
Quest'opinione piacque. Gli affari dello stato furono divisi senza indugio in tanti dipartimenti. I lupi si incaricarono delle finanze, e presero per segretarie le volpi. I colombi stavano alla giustizia, i giudici conciliatori erano rappresentati dalle tigri, e i becchi decidevano delle cause coniugali; i soldati eran lepri, e leoni ed elefanti avevano cura dei bagagli, ambasciatore era l'asino e la talpa sovraintendente degli uffici. Genovesi, cosa avreste sperato voi da questa saggia ripartizione? Chi non veniva sbranato dal lupo era ingannato dalla volpe, chi sfuggiva alla volpe era calpestato dall'asino. Le tigri sgozzavano gli innocenti, mentre i ladri e gli assassini venivano graziati dalle colombe; e alla fine, quando si deponevano le cariche, la talpa concludeva che tutto era stato amministrato in modo perfetto... Allora gli animali si ribellarono... Fateci eleggere un monarca, gridarono tutti, un monarca che abbia artigli e cervello, ma un solo stomaco... Allora tutti fecero omaggio ad un solo capo — uno solo, badate, genovesi —, ma costui (avanzando con maestà in mezzo a loro) era il leone!

Tutti (battendo le mani e gettando per aria i berretti)
Bravo! bravo! Un'idea da furbi.

Il Primo Cittadino
Un'idea che Genova deve imitare, ed essa ha già il suo uomo.

Fiesco
Non voglio sapere chi è. Su, andate alle vostre case e pensate al leone!
(I cittadini escono tumultuando.) ...

Una pagina di poesia: "Lode di Ysolt", di Ezra Pound

Vanamente ho lottato
per insegnare al cuore a inchinarsi;
Vanamente gli ho detto
"Vi sono altri cantori più grandi di te".
Ma la risposta giunge, come il vento e il liuto,
Come un vago lamento nella notte
Che non mi dà requie e dice sempre:
"Un canto, un canto".

I loro echi s'intrecciano nel crepuscolo
Cercando sempre un canto.
Ah, sono spossato
E il vagare per le molte strade ha fatto dei miei occhi
Rossi cerchi scuri pieni di polvere.
Eppure mi possiede un tremore nel crepuscolo,
E parole rosse folletti gridano: "Un canto",
Parole grigi folletti gridano per un canto,
Parole foglioline brune gridano "Un canto"
Parole foglioline verdi gridano per un canto.

Le parole sono come foglie, come vecchie foglie brune in primavera
che dove vadano non sanno, in cerca di una canzone.

Parole bianche come fiocchi di neve, ma sono gelide,
Parole di muschio, parole sulle labbra, parole di lenti ruscelli.

Vanamente ho lottato
per insegnare all'anima a inchinarsi,
Vanamente le ho detto:
"Vi sono altre anime più grandi di te".

Poiché nel mattino della mia vita una donna venne a me
Come richiamo di chiaro di luna,
Come la luna chiama le maree,
"Un canto, un canto!"

Perciò scrissi per lei un canto ed ella s'allontanò
Come s'alza la luna dal mare,
Ma ancora venivano le parole foglie, le parole folletti bruni
E dicevano "L'anima ci manda".
"Un canto, un canto!"

E invano gridai a loro "Non ho canti
Poiché quella che cantavo mi ha lasciata".

La mia anima mandò una donna, donna di un mondo meraviglioso,

Come un incendio sopra le pinete
che gridava: "Un canto, un canto".
Come la fiamma grida alla linfa.
Il mio canto s'infocò di lei ed ella s'allontanò
Come fiamma che si parta dalle braci, verso nuove foreste,
E con me rimasero le parole
sempre gridando "Un canto, un canto".

E io "Io non ho canti",
Finché l'anima non mandò una donna come il sole:
Oh sì, come il sole chiama il seme,
Come la primavera sopra il ramo
Così giunge ella, madre dei canti,
Colei che ha parole meravigliose in fondo agli occhi,
Le parole, folletti parole
che m'invocano sempre,
"Un canto, un canto".

Vanamente ho lottato con la mia anima
per insegnare all'anima a inchinarsi.
Quale anima s'inchina
con te nel cuore?

venerdì 6 febbraio 2009

Una pagina di poesia: "Il mio paese mi fa male", di Robert Brasillach

Il mio paese mi fa male per le sue vie affollate,
Per i suoi ragazzi gettati sotto gli artigli delle aquile insanguinate,
Per i suoi soldati combattenti in vane sconfitte
E per il cielo di giugno sotto il sole bruciante.
Il mio paese mi fa male in questi empi anni,
Per i giuramenti non mantenuti,
Per il suo abbandono e per il destino,
E per il grave fardello che grava i suoi passi.

Il mio paese mi fa male per tutti i suoi doppi giochi,
Per l'oceano aperto ai neri vascelli carichi,
Per i suoi marinai morti per placare gli dèi,
Per i suoi legami troncati da una forbice troppo lieve.

Il mio paese mi fa male per tutti i suoi esilii,
Per le sue prigioni troppo piene, per i suoi giovani morti,
Per i suoi prigionieri assassinati dietro il filo spinato,
E tutti quelli che sono lontani e dispersi.

Il mio paese mi fa male con le sue città in fiamme,
Male contro i nemici e male con gli alleati,
Il mio paese mi fa male nel corpo e nell'anima,
Sotto i pesanti ferri dai quali è legato.

Il mio paese mi fa male con tutta la sua giovinezza
Sotto bandiere straniere, gettata ai quattro venti,
Perdendo il suo giovane sangue in rispetto al giuramento
Tradito da coloro che lo avevano fatto.

Il mio paese mi fa male con le sue fosse scavate,
Con i suoi fucili puntati alle reni dei fratelli,
E per coloro che contano fra le dita spregevoli,
Il prezzo dei rinnegati piuttosto che una più equa ricompensa.

Il mio paese mi fa male per la sua falsità di schiavi,
Con i suoi carnefici di ieri e con quelli di oggi
Mi fa male col sangue che scorre,
Il mio paese mi fa male. Quando riuscità a guarire?

18 novembre 1944

giovedì 5 febbraio 2009

Una canzone: "Il domani appartiene a noi"

Ascolta il ruscello che sgorga lassù
ed umile a valle scompar,
e guarda l’argento del fiume
che sereno e sicuro va.
Osserva dell’alba il primo baglior
che annuncia la fiamma del sol
ciò che nasce puro, più grande vivrà
e vince l’oscurità.
La tenebra fugge i raggi del sol
Iddio dà gioia e calor
nei cuori la speranza non morirà.
Il domani appartiene a noi.
Ascolta il mio canto che sale nel ciel
verso l’immensità
unisci il tuo grido di libertà
comincia l’uomo a lottar.
Chi sfrutta nell’ombra sapremo stanar
se uniti noi marcerem
l’usura e il pugno noi vincerem.
Il domani appartiene a noi.
La terra dei padri, la fede immortal
nessuno potrà cancellar
il sangue, il lavoro, la civiltà.
Cantiamo la tradizion.
La terra dei padri, la fede immortal,
nessuno potrà cancellar
il popolo vinca dell’oro i signor.
Il domani appartiene a noi.

domenica 18 gennaio 2009

Una pagina di poesia: "Se...", di Rudyard Kipling

Se riesci a conservare il controllo quando tutti intorno a te
lo perdono e te ne fanno una colpa;
se riesci ad aver fiducia in te quando tutti ne dubitano,
ma anche a tener conto del loro dubbio;
se riesci ad aspettare e non stancarti di aspettare,
o se mentono a tuo riguardo, a non ingolfarti nella menzogna,
o se ti odiano, a non lasciarti prendere dall'odio,
e tuttavia a non sembrare troppo buono e a non parlare troppo saggio:

Se riesci a sognare e a non fare del sogno il tuo padrone;
se riesci a pensare e a non fare del pensiero il tuo scopo;
se riesci a far fronte al Trionfo e alla Rovina
e trattare allo stesso modo quei due impostori;
se riesci a sopportare di udire la verità che hai detto
distorta da furfanti per abbindolare gli sciocchi,
o a contemplare le cose cui hai dedicato la vita infrante,
e piegarti a ricostruirle con arnesi logori:

Se riesci a far un mucchio di tutte le tue vincite
e rischiarle in un colpo solo a testa e croce,
e perdere e ricominciare dal principio
e non fiatar parola sulla perdita;
se riesci a costringere cuore, tendini e nervi
a servire al tuo scopo quando sono da tempo sfiniti,
e a tener duro quando in te non resta altro
che la Volontà che dice: «Tenete duro!»

Se riesci a parlare con la folla e a conservarti retto,
e a camminare coi Re senza perdere il contatto con la gente,
se non riesce a ferirti il nemico né l'amico più caro,
se tutti contano per te, ma nessuno troppo;
se riesci a occupare il minuto inesorabile
dando valore a ogni istante che passa,
tua è la terra e tutto ciò che è in essa,
e — quel che è più — sei un Uomo, figlio mio!